Occorre dare atto al Governo Letta di essere riuscito a portare a termine una “missione impossibile”: dai tempi del Generale De Gaulle (ossia dalla preistoria dell’Unione europea) non avveniva che i Capi di Stato e di Governo modificassero in modo fondamentale, nel corso di un vertice, il comunicato predisposto con paziente e lungo lavorio dalle Cancellerie degli Stati membri. Il programma stesso dei lavori del Consiglio europeo, come mostrato dalla lettera del 22 ottobre di Herman Van Rompuy, prevedeva unicamente uno “scambio di vedute” sui temi dell’immigrazione nella seconda parte della mattinata di venerdì 25 (dopo che il pomeriggio e la sera del 24 si sarebbe discusso di crescita, agenda digitale e tecnologia e nella prima della mattinata di occupazione). A rendere il quadro ancora più complesso, l’esplodere del nodo delle intercettazione telefoniche da parte dei servizi segreti americani (ma cosa ha fatto per tutti questi anni il controspionaggio degli Stati europei? Accumulato prebende dormendo sonni profondi?) ha stravolto il programma dei lavori. Con abilità, però, Letta e Saccomanni hanno riportato il tema della “solidarietà europea” in materia di immigrazione al centro della seconda giornata giungendo a un calendario preciso (e – quel che più conta – realistico): un’analisi della situazione entro il prossimo Consiglio europeo da tenersi a dicembre e una proposta di politica comune entro il giugno 2014, dopo le elezioni del Parlamento europeo e prima che la presidenza dell’organo venga assunta dall’Italia.
L’unico corso di giornalismo che ho preso (nel 1967-68 al Sais di Washington) è stato impartito dal mitico Benjamin Bradlee, a lungo direttore del Washington Post, e avevo come collega e amico di sempre il parimenti mitico Phil McCoombs, Premio Pulitzer per le corrispondenze dal Vietnam (dove è riuscito a scappare da una prigione Viet-Cong). Quindi, non sono uso a fare sconti a Governi in carica nella convinzione che la funzione sociale dei media sia quella di esercitare analisi e critica. Ho espresso, prima del vertice, dubbi che la delegazione italiana sarebbe riuscita a ottenere anche soltanto una discussione seria del tema dell’immigrazione. Dobbiamo rallegrarci dell’abilità, e scaltrezza, mostrata da Letta e Saccomanni. È stata possibile perché questa volta “tutti gli uomini del Presidente” hanno lavorato all’unisono.
È un successo tanto più importante perché negli altri temi all’ordine del giorno del vertice o non si sono fatti progressi o si sono fatti passi indietro. Poco o nulla si è concluso in materia di agenda digitale: l’argomento al primo punto dell’ordine del giorno è stato travolto più di tutti gli altri dallo scandalo delle intercettazioni, dato che è difficile andare verso un mercato unico e abolire il roaming se tutti temono che le spie in agguato vengano facilitate da liberalizzazioni.
Il dibattito sulla crescita ha riguardato soprattutto la lettera del Cancelliere Merkel con indicazioni giuridiche puntuali su come emendare il Protocollo N. 14 del Trattato di Maastricht per rendere più cogenti i “contractual arrengements” tra gli Stati membri (sia tra di loro, sia tra loro e l’Ue) per mantenere in pareggio i bilanci e giungere a un debito pubblico che non ecceda il 60% del Pil. La “grande coalizione” che si sta mettendo a punto nella Repubblica Federale indurisce e non rende più morbida la posizione tedesca.
In primo luogo, gran parte delle riforme attuate in Germania (e, secondo i tedeschi, non realizzate negli Stati europei a forte debito e bassa competitività) sono frutto del lavoro dei due governi Schröder dal 1998 al 2005; i socialdemocratici rivendicano la “primogenitura riformatrice”. In secondo luogo, il “blocco sociale” su cui più è gravato il costo delle riforme è quel ceto medio basso impiegatizio e operaio rimasto fedele al partito (nonostante il tracollo dei consensi) che più di altre parti dell’elettorato tedesco non vede affatto bene che i loro sacrifici vadano a beneficio di chi, a torto o ragione, considerano lasco. In terzo luogo, al tavolo del negoziato per la “grande coalizione” i socialdemocratici hanno chiesto che il ministero dell’Economia (ampliato nelle competenze sino a comprendere infrastrutture e ambiente – e, quindi, rafforzato) vada a un loro esponente di punta; ciò li porrebbe al centro della politica europea.
Infine, l’unione bancaria deve considerarsi accantonata poiché è difficile concepirla senza una garanzia europea sui depositi e una strategia europea per le crisi più severe di istituti – due punti su cui la “grande coalizione” che si sta formando a Berlino è irremovibile.