Ora, prima di snocciolare cifre e contenuti, una precisazione importante. È vero, il report di cui sto per parlarvi è stato preparato da Citigroup, quindi una banca americana, ma il team che lo ha elaborato è guidato da un europeista convinto come Willem Buiter, uno che parla di Stati Uniti d’Europa, e composto da analisti quasi per la totalità provenienti da paesi europei. Quindi, lasciate pure perdere la retorica anti-anglosassone. Bene, cosa ci dice Citi? Che l’Italia tornerà in uno stato di recessione semi-permanente, con la crescita nel 2014 dello 0,1%, a 0% nel 2015 e a 0,2% nel 2016. In compenso, la dinamica del debito continuerà a peggiorare, raggiungendo il 140% del Pil, ovvero oltre la soglia di non ritorno per una nazione senza crescita economica e senza una moneta sovrana da utilizzare come leva svalutativa. «Non ci aspettiamo che la ratio del debito pubblico conoscerà un trend al ribasso nel prossimi anni e abbiamo il sospetto che una qualche forma di ristrutturazione del debito (allungamento delle scadenze o riduzione dei coupons) potrebbe essere posta in atto», scrivono gli analisti nel report.



E sempre ieri a mettere i carico da novanta e confermare i miei timori, espressi in più di un articolo recentemente, ci ha pensato Moody’s, a detta della quale «l’esame della Bce sulle banche europee avrà un impatto negativo per gli istituti italiani con indici di capitale deboli. Il requisito di un common equity Tier1 all’8%, parametro minimo fissato per la nuova fase di valutazione della solidità delle 128 banche europee, è negativo per le banche italiane con una bassa qualità degli asset o vicine/al di sotto di questa soglia». Nel rapporto l’agenzia ha citato Mps, Bpm, Carige, Banco Popolare e Creval, tutti istituti per cui sarà difficile far fronte alla necessità di capitale con risorse private. Per questo, a detta dell’agenzia di rating che non ne ha azzeccata una che fosse una negli ultimi cinque anni, aumentano le probabilità di un intervento pubblico e di un fallimento ordinato con perdite per i detentori dei bond junior, ovvero i creditori ai quali sarà chiesto un contributo. Cosa vi ho detto, la guerra tra banche è solo all’inizio.



Ma torniamo a Citi e al suo report, in base al quale non va meglio al Portogallo, la cui crescita nei prossimi tre anni sarà rispettivamente dello 0,6%, 0% e 1%, con la ratio debito/Pil destinata a salire al 149% entro il 2015 e il tasso di disoccupazione al 18,3%. Per gli analisti, «data la contrazione fiscale che ancora dovrà essere scontata, il deleveraging del settore privato già in atto e le bassissime stime di crescita del Pil nominale, nutriamo forti dubbi sulla sostenibilità del debito portoghese. Un secondo piano di salvataggio completo rimane un rischio molto chiaro in caso di un deterioramento del sentiment di mercato. Riteniamo improbabile una ristrutturazione in stile greco nel futuro prossimo, ma rimane possibile la ristrutturazione di alcune liabilities governative contingenti». Ma passiamo alla Grecia, il fiore all’occhiello delle politiche di austerity della troika.



Per Citigroup, l’economia ellenica si contrarrà del 2,9% nel 2014 e dell’1,4% nel 2015, portando il tasso di disoccupazione al 32,4% e la ratio debito/Pil al 201%. E poi la Spagna, Paese che ci dicono essere uscito dalla recessione e che festeggia a colpi di spread il riassetto del suo sistema bancario. Bene, per Citigroup Madrid non farà default e non avrà bisogno di una ristrutturazione del debito, ma la crescita sarà solo dello 0,1% nel 2014, dello 0,3% nel 2015 e dello 0,7% nel 2016, non sufficiente per bloccare l’aumento ulteriore del tasso di disoccupazione, che salirà al 27,9%. Insomma, per Citigroup l’Europa cosiddetta periferica va incontra a una “lost decade” in stile giapponese.

Troppo pessimisti? Forse. Soprattutto, speriamo. Ora però finiscono i dati di Citi e ve ne fornisco qualcuno dei miei, continuando a parlare proprio di Spagna. Io sono felicissimo che Madrid comunichi al mondo il suo primo andamento positivo sequenziale del Pil da trimestri e un calo più marcato del previsto del tasso di disoccupazione, il problema è che non sopporto le bugie. E, ancora meno, le mezze verità. Si omette di dire che il numero di partecipanti al mondo del lavoro nel terzo trimestre di quest’anno è calato di 85.200 unità, -279mila anno su anno e che l’aumento di 39.500 unità nel numero di persone occupate nel terzo trimestre è reso possibile quasi esclusivamente da lavoratori autonomi e lavoratori a tempo determinato, visto che i contratti a tempo indeterminato hanno conosciuto un bel -146.300 unità. Così, tanto per amore di verità.

Ma c’è di più, la scorsa settimana Madrid ci ha trionfalmente annunciato che il mercato immobiliare ha toccato il livello minimo e ora può solo cominciare a risalire, sbloccando così anche l’intreccio real estate-banche e il nodo delle sofferenze. A confermare il trend, il fatto che Bill Gates abbia investito 155 milioni di dollari nel gruppo immobiliare Fomento de Construcciones & Contratas. Ah però, quale infallibile indicatore! Peccato che non sia proprio così. Bill Gates ha sì investito, ma il mercato non ha affatto toccato il cosiddetto “bottom”, visto che la bad bank governativa – dove la banche iberiche scaricano non solo mutui insolventi ma anche immobili – ha tenuto un’asta per cominciare a vendere parte di quegli edifici ma non ha saputo attrarre abbastanza offerte, decidendo ora di parcellizzare il portafoglio per cercare di piazzare qualcosa.

La Sareb, infatti, avrebbe ricevuto poco più di 30 offerte per il portafoglio in questione, molto meno di quanto atteso e quindi il portafoglio denominato “Corona” ora scenderà da sette a quattro edifici per cercare di essere piazzato. Ora, a quei prezzi e comprando di fatto in modo calmierato dallo Stato, se il mercato stesse ripartendo ci sarebbero investitori a frotte, non il bisogno di frammentare i portafogli di real estate, che ne dite? In compenso, c’è qualcosa che mi fa pensare che la Spagna resti l’epicentro della destabilizzazione europea: come spiegare, altrimenti, l’intercettazione da parte della Nsa statunitense di 60,5 milioni di telefonate in un solo mese, tra il 10 dicembre 2012 e l’8 gennaio di quest’anno? Cosa successe in quel periodo? Il 3 dicembre, ad esempio, il ministro delle Finanze comunicò ufficialmente il piano di salvataggio da 39,5 miliardi di euro per il sistema bancario iberico: gli americani erano forse interessati alle banche spagnole? Ai termini reali del salvataggio? Al reale stato di salute degli istituti di credito? A qualche esposizione di troppo? O al rischio sistemico per l’eurozona? Chissà.

In compenso, Nsa a parte, a confermare i timori degli analisti di Citi (e miei) ci pensa direttamente la Bce, la quale ha dovuto ammettere attraverso il suo Bollettino che la crescita di massa monetaria M3 nel mese di settembre ha decelerato ulteriormente, scendendo a un tasso annualizzato del 2,1%, il minimo dal gennaio 2012 e ben al di sotto dell’obiettivo prefissato dall’Eutotower del 4,5%. Vogliamo parlare della frammentazione nella trasmissione e concessione del credito? Pronti. I prestiti totali alle aziende in Italia sono scesi del 4,9% anno su anno, in Portogallo del 7% e del 19,9% in Spagna, proprio il Paese di cui ci raccontano meravigliose storie di rinascita e uscita dalla crisi.

Che si fa, quindi? A occhio e croce, o Draghi dà vita a un’altra asta Ltro oppure le cose non potranno che peggiorare. Ma, per alcuni, nemmeno quel tipo di operazione potrebbe essere sufficiente. Il combinato di contante in circolazione e depositi overnight (la massa monetaria M1) in settembre è salito solo di 6 miliardi di euro, contro i 38 miliardi conosciuti nel periodo luglio-agosto. Su base annualizzata, la crescita della massa monetaria M1 continua a rallentare: in settembre, anno su anno, era al 6,6%, dal 6,8% di agosto e dal 7,1% in luglio. E se è proprio stata la Bce a dire che la solida crescita dell’aggregato M1 dall’inizio di quest’anno avrebbe portato con sé una ripresa nel credito e negli investimenti, nonostante una possibile decelerazione della crescita dell’aggregato M3, ora che si fa? Come si muoverà Draghi, stante che un aumento nei depositi overnight non credo possa essere visto come uno stimolo agli investimenti?

Con un flusso di credito a questo livello, una ripresa degli investimenti e della concessione non si vedrà per almeno altri sei, se non nove mesi. Troppi, per paesi che vedono migliaia di aziende chiudere ogni giorno e le file dei disoccupati ingrossarsi di ora in ora. Serve uno shock. E presto, entro la fine dell’anno. Draghi azzardi o sarà tardi. E sarà davvero “lost decade” per l’Europa del sud.

 

P.S.: Un primario gruppo industriale internazionale, detentore di decine dei marchi più diffusi al mondo, ha messo nel mirino un’azienda italiana. Per l’esattezza, un suo marchio, per ottenere il quale è pronto a tutto. L’operazione si tenterà con l’anno nuovo. E, facilmente, un altro prezioso, stranoto pezzo di made in Italy passerà in mani straniere.