È giunta l’ora della verità per l’Europa. Dopo anni di crisi e di politica deflativa e di asimmetria nella produttività dei fattori, in una macro rigidità monetaria mai vista prima dispiegarsi su una simile dimensione di scala, dopo anni di crisi il sistema sanguigno di tale macro rigidità incontra il suo limite. Il limite della regolazione dopo anni di incerti movimenti verso la meta che i sostenitori dell’Europa così com’è, tra i quali io non m’iscrivo, hanno da tempo scritto sulle loro bandiere: l’Unione bancaria. Tale unione per esser effettiva deve partire da comuni regole di vigilanza, di compliance e di audit, e quindi di lenta ma sicura omologazione delle pratiche di tecnica bancaria; a cominciare, così come si è fatto con risultati altalenanti, per esempio, in merito alle regole sui bilanci, passando dai dati cosiddetti storici, ai dati mark to market, ossia che segnalano in ogni momento il valore azionario degli assets.



Chi ha vissuto gli anni della irrazionale esuberanza borsistica e del colpo di stato mondiale dei manager stockopzionisti, anche solo come indipendent director oppure anche come responsabile di organismi di controllo, sa quante resistenze i manager e i middle manager sempre resero manifeste dinanzi alla omogeneizzazione di regole che prima di tutto potevano danneggiare i loro premi per performance commisurate al valore delle azioni, oppure ad alcuni dati fondamentali di bilancio, ma che comunque sempre erano formidabili incentivi per comportamenti opportunistici e quindi per la violazione più o meno occulta di qualsivoglia regola.



La complicità degli organismi di controllo era richiesta, incoraggiata, minacciando sanzioni se essa non avveniva sino alla non riconferma o alla creazione di spettacolari incidenti di percorso nella regolazione medesima, “incidenti” che mettevano in cattiva luce i regolatori interni. Le asimmetrie informative e performative nella minaccia dell’uso della forza weberianamente intesa (non si tratta di uccidere, per carità…) sono la regola nel rapporto con i manager delle istituzioni bancarie iper-regolate e nel contempo incentivanti il comportamento degli attori in forma non virtuosa e di cui le stock option sono l’esempio più noto. Non si tratta di dire che tutti i gatti sono neri mentre nera è la notte, ma come ci insegna Pareto quando gli incentivi alla corruzione sono preclari i comportamenti morali sono l’eccezione e non la regola



Queste regole dell’audit sempre mi vengono alla mente quando sento parlare di Unione bancaria europea. È l’ultima grande utopia sovietica di origine panottica e illuminista che aggira il male, non lo affronta, lo peggiora e crea una superfetazione burocratica parassitaria di enormi dimensioni, che si aggiunge all’enfisema polmonare che gia oggi è l’Europa burocratica (non meritocratica, perché nelle scelte sempre prevalgono le clientele partitiche e situazionali di fatto).

Si prepara l’assunzione di migliaia di “esperti” da parte della Bce per inviarli poi nelle banche su cui esercitare i controlli e verificare sulla base di parametri assai discutibili fissati dall’Eba, ossia dall’ente di sovradeterminazione dei parametri di rischiosità che dovrebbero porci al riparo dai fallimenti. Si tratta di iper-regolare in primo luogo E non di riformare le banche prima di iper-regolare. Errore immenso. Non si risolverebbe nulla. Non si risolverà nulla. Invece occorrerebbe dividere le banche d’affari da quelle commerciali tornando ai vecchi ma seri provvedimenti dell’essenziale Glass Act che nel 1933 Roosevelt emanò appunto per separare due tipi di intermediazione bancaria la cui unificazione clintoniana e blairiana, promossa dalle grandi banche d’affari affamate di guadagni ad altissimo rischio, unitamente alla sregolazione dei mercati finanziari con la creazione di shadow bank e dark pools hanno scatenato la dinamica finanziaria della crisi.

Una crisi di sovracapacità produttiva industriale, l’altra dinamica della crisi, si è così trasformata in una crisi finanziaria per eccesso di rischio che ha scaricato sull’economia reale l’assenza di credito alle imprese e alle banche e invece l’ha diretta dallo Stato alle banche unificate per salvarle e con loro i top manager aggravando i debiti pubblici sovrani. Too Big to fall, si dice, ma si dovrebbe dire invece more unification more risks, soprattutto quando le redini sono nelle mani dei manager stockopzionisti e dei politici al loro servizio, com’è stato indubitabilmente dimostrato per esempio dai libri di Bruno Amoroso.

Certo, i bank’s non performing loans sono un bel problema, così come gli assets tossici nei confronti dei quali non si è scelto – per combatterli e poi eliminarli – né di separare le banche, né di creare le cosiddette bad banks, come si fece in Usa per cercare di deleverarle, ossia di eliminare via via tali tossici assets con il minor danno sociale possibile. Pianificare gli stress-test, ossia regole comuni di carotaggio dei bilanci bancari su larga scala, non è certo un rimedio, ma consente una radiografia del rischio. Se non si dividono le banche, però, l’aumento di capitale che l’Eba richiede è un bel misero rimedio, perché costringe le banche medesime a tenere immobilizzate grandi masse di capitali che si sottraggono alla circolazione sanguigna delle famiglie e delle imprese, aggravando in tal modo la crisi.

Gli stress test certamente indicheranno vasti ammanchi di capitali e il conflitto sarà come già si delinea chiaramente su come e con chi e con le ricchezze di chi farvi fronte: gli stati nazionali (proposta tedesca) o un European bail-out fund, ossia lo European Stability Mechanism che si fonda sulla condivisione delle sottocapitalizzazioni su scala solidaristica e mutualistica europea. Anche qui i tedeschi mirano a collegare debolezza bancaria e nazionalismo economico portando l’Europa come progetto tanto economico quanto politico alla rovina.

Il disegno tedesco è chiarissimo e la prossima unione bancaria ha il solo merito di farlo venire alla luce. Si tratta tuttavia di un gioco molto molto pericoloso.