«Un taglio marginale del cuneo fiscale e nello stesso tempo un incremento dell’aliquota Iva sono un controsenso. Le aziende assumono se aumenta la domanda, mentre aggravare l’Imposta sul valore aggiunto finisce esattamente per deprimere i consumi». Ad affermarlo è Ugo Arrigo, professore di Finanza pubblica all’Università di Milano-Bicocca. L’Iva è ormai al 22% e il ministro Saccomanni ha fatto sapere che non intende riportarla al 21%. Il governo intanto sta preparando una legge di stabilità da 8-9 miliardi di euro che si baserà su abbassamento del cuneo fiscale, service tax, allentamento del patto di stabilità per i Comuni e incentivi per il lavoro.



Professor Arrigo, sembra che il governo voglia privilegiare il taglio del cuneo fiscale rispetto al blocco dell’Iva…

Su questa decisione io non sono d’accordo per una serie di ragioni. In primo luogo, l’Italia ha un cuneo fiscale che è molto più grande rispetto ai paesi competitori, e probabilmente il più elevato in tutto il mondo sviluppato in termini di percentuale che non va al lavoratore come retribuzione. Includendo gli oneri contributivi, l’Irap e l’Irpef va dai 5 ai 10 punti percentuali in più rispetto ai nostri concorrenti europei: negli altri paesi è tra il 24% e il 29%, mentre in Italia è intorno al 34%. Andrebbe quindi ridotto di parecchi punti, ma si tratta di un’operazione molto costosa. Riduzioni solo marginali del cuneo fiscale non cambiano invece lo scenario per chi deve assumere.



In che modo quindi si può rendere più conveniente assumere nuovi dipendenti?

Il punto è che non si vede perché le imprese dovrebbero assumere di più se da sei anni non stanno compiendo investimenti, i consumi languono e non c’è domanda. Far ripartire i consumi è prioritario rispetto al fatto di ridurre il cuneo fiscale. L’aumento dell’Iva è però un provvedimento esattamente di segno opposto rispetto a quanto auspicato.

Quali saranno gli effetti dell’aumento dell’Iva di un punto percentuale?

Quando nel settembre 2011 l’Iva è aumentata dal 20% al 21% i consumi sono crollati. Più che l’effetto diretto dell’aumento dei prezzi, il problema è rappresentato dalle aspettative che si generano. Anche se i commercianti decidessero di assorbire l’incremento dell’Iva lasciando i prezzi invariati, il messaggio che passa è comunque recessivo. Un’aliquota Iva al 22% rende del tutto inutile l’abbassamento già di per sé marginale del cuneo fiscale che andrebbe invece abbattuto radicalmente. Un’operazione che non può comunque essere compiuta senza rivedere le pensioni in essere, in particolare quelle particolarmente alte pur non essendo giustificate dai contributi.



Che cosa ne pensa invece della service tax?

Il problema della service tax è che non è veramente commisurata alla qualità dei servizi erogati dal settore pubblico. È giusto coprire i costi dei servizi pubblici, ma occorre che questi ultimi siano svolti in concorrenza con un’assegnazione sulla base di bandi di gara. I cittadini sono obbligati a pagare la tariffa per lo smaltimento rifiuti, ma i costi li decide l’ente locale. Sarebbe quindi interessante introdurre meccanismi di concorrenza per rendere efficienti i costi attraverso processi di mercato. I costi devono essere avvicinati a livelli di efficienza.

 

Come valuta la nomina di Cottarelli come Mr. Spending review?

La vera questione non è attuare una spending review, ma anche in questo caso rendere coerenti spesa pubblica e servizi erogati ai cittadini. Con un servizio pubblico a domanda individuale, si può consentire alla singola persona di scegliere se consumare di più pagando di più o consumare di meno pagando di meno.

 

Può fare un esempio?

Un genitore dovrebbe essere messo nelle condizioni di scegliere se mandare i figli in classi da 30 alunni e pagare di meno oppure in classi da 15 e pagare di più. Deve essere il cittadino che decide, non il governo. I servizi a domanda individuale non vanno quindi privatizzati, ma resi autonomi e finanziati con prezzi e trasferimenti.

 

(Pietro Vernizzi)