In Italia piace parlare di una “politica industriale” che possa sviluppare l’economia del nostro Paese. Piace parlare, ma alla luce dei fatti, la realtà è molto diversa, anzi contraria. Parliamo del caso Alitalia. La compagnia di bandiera è ormai sulla via del tramonto, dato che deve trovare urgentemente i soldi necessari a pagare anche gli stipendi ai propri dipendenti. Si parla insistentemente di un piano di almeno 500 milioni di euro, di cui 300 milioni da un rifinanziamento da parte delle banche (in realtà la compagnia aerea sembra già abbastanza indebitata) e 200 da parte degli azionisti. Quegli stessi azionisti che a inizio anno non furono nemmeno in grado di finanziare la propria azienda con 150 milioni di euro di prestito obbligazionario.



Infatti, quando pochi mesi fa il management chiese queste nuove risorse, gli “imprenditori coraggiosi” della cordata italiana decisero di non fare un aumento di capitale, bensì di fare un prestito alla propria azienda (con priorità di rimborso in caso di fallimento). In quel caso non si raggiunse nemmeno la soglia dei 100 milioni di euro di prestito. Non tutti gli azionisti decisero di prestare denaro alla propria azienda. Questo è la prima debolezza di Alitalia e in generale di tutto il capitalismo italiano. Se non credono nella loro stessa azienda, alle prime difficoltà, gli imprenditori non mettono nuove risorse per superare il momento di crisi, bensì fanno nuovi debiti o cercano di vendere a un socio pubblico.



Un problema enorme che dipende anche da come è stata creata la cordata di “imprenditori”. Gli azionisti di Alitalia sono arrivati grazie a un’iniziativa politica e praticamente nessuno arrivava dal business del settore aereo. Era un’insieme di imprenditori di altri “campi” che sono stati tirati dentro dalla politica.

Torniamo al concetto di politica industriale di cui tutti amano “riempirsi la bocca”. In Italia, si sa, la tassazione è molto elevata. Cosa fa la politica per abbassarla? Poco o nulla, dato che in generale la pressione fiscale è cresciuta enormemente negli ultimi anni. Veniamo dunque al secondo errore/orrore della politica in Alitalia. Ultimo atto del Governo Monti: alle soglie di Natale del 2012, con l’esecutivo ormai caduto, ha deciso di alzare le tasse aeroportuali su Fiumicino di ben 11 euro per i voli intercontinentali e di 8 euro per i voli a breve raggio. Impatto sui conti Alitalia? 120 milioni di euro l’anno a regime di maggiori costi che sono impossibili da “scaricare” sui viaggiatori, grazie all’ambiente estremamente competitivo del settore. 120 milioni di euro che fanno comodo agli aeroporti romani, dato che Gemina, il proprietario di Aeroporti di Roma, il 27 dicembre del 2012, giorno di riapertura della Borsa di Milano, ha fatto il botto con un +32%. 120 milioni di euro che distruggono il sistema di hub and spokes che Alitalia stava costruendo difficilmente su Fiumicino, dato che vanno a impattare doppiamente per chi vuole costruire un sistema di network di questo tipo. 120 milioni di euro che abbattono i conti di Alitalia e che distruggono il rilancio della compagnia italiana.



Questa è la politica industriale italiana. Mettere nuove tasse per distruggere la compagnia. Ma non è tutto. Il bilancio del Lazio, si sa, è sull’orlo del fallimento, causa la mala gestione nel corso degli anni. Cosa decide di fare la politica regionale laziale? Ha la bella idea di introdurre l’Iresa, la nuova tassa di scopo per abbattere le emissioni sonore aeroportuali. Una tassa di scopo che solo per il 10% serve ad abbattere le emissione sonore e per il 90% a tappare i buchi del sistema sanitario laziale.

Quale impatto di questa politica industriale? 55 milioni di euro di introiti a regime, di cui almeno 20 da parte di Alitalia. 20 milioni di euro che ancora una volta impattano maggiormente sui voli a lungo raggio e dunque distruggono la competitività del vettore su quelle tratte che hanno l’unica possibilità di salvare la compagnia.

Alitalia e i suoi azionisti hanno le loro colpe, ma la politica dovrebbe farsi un bell’esame di coscienza sulle grandi mosse che stanno aiutando a portare al fallimento il vettore italiano.