Una notizia apparentemente positiva: la Grecia emergerà nel 2014 da una recessione che dura da sei anni. La legge di bilancio presentata ieri dal vice ministro delle Finanze, Christos Staikouras, prevede infatti per l’anno prossimo una crescita dello 0,6%, grazie a una ripresa degli investimenti e delle esportazioni, compreso il turismo. L’economia, che ha perso circa un quarto del suo valore dal picco del 2007, quest’anno si contrarrà invece del 4%, con la disoccupazione che si attesterà al 27%. Le previsioni più ottimistiche per il prossimo anno segnalano però che ormai la Grecia si è lasciata alle spalle il peggio della crisi del debito: «Negli ultimi tre anni la Grecia ha vissuto una dolorosa recessione con un livello di disoccupazione senza precedenti», ha detto Staikouras, «ma da quest’anno i sacrifici cominciano a dare i frutti, dando i primi segnali di un’uscita dalla crisi».
Nella bozza inoltre si stima che il debito pubblico raggiungerà nel 2014 il 174,5% del Pil (156,9% nel 2012 e stima tra 175% e 180% per quest’anno), mentre il deficit dovrebbe scendere al 2,4% (7,1% nel 2012). Atene punta anche per il prossimo anno a un surplus primario dell’1,6% del Pil, dopo un piccolo avanzo (circa 340 milioni di euro) registrato già quest’anno. Il raggiungimento di questo surplus, esclusi i costi esorbitanti di servizio del debito, è cruciale per aiutare il Paese ad assicurarsi il sostegno dei creditori internazionali, in primis la troika, con i quali continuano i dissidi a causa delle riforme che non procedono come previsto.
Addirittura, con un atto senza precedenti, i rappresentanti di Ue, Bce e Fmi (il danese Paul Tomsen del Fmi e i tedeschi Matthias Mors dell’Ue e Clauss Mazuch della Bce) hanno minacciato di non fare più ritorno ad Atene se prima non saranno attuate tutte le misure da loro considerate indispensabili per continuare a fornire aiuti finanziari al Paese. Tra queste, la privatizzazione delle imprese a partecipazione statale, l’applicazione della tassa unica sugli immobili, l’attuazione della messa in mobilità dei dipendenti pubblici e la ristrutturazione del sistema previdenziale.
E qui finisce la positività apparente della notizia. Da un lato, infatti, l’insistenza della troika potrebbe tradursi in ulteriori tagli agli stipendi e alle pensioni per coprire il buco di alcuni miliardi di euro venutosi a creare nelle casse degli istituti previdenziali, con ovvie ricadute sociali e anche politiche per i partiti che sorreggono la coalizione di governo, dall’altro, spalanca le porte al vero assedio silenzioso in atto in queste ore in Grecia. Capitanati da John Paulson, un gruppo di agguerriti hedge funds statunitensi sta infatti per suonare la carica verso il sistema bancario ellenico, certi proprio di quanto emerso ieri, ovvero che l’economia del Paese stia per svoltare nettamente dopo anni e anni di recessione. E il loro interesse appare ricambiato dalle grandi banche, le quali stanno già operando una forte pressione lobbystica sul governo affinché prenda in considerazione un rapido processo di ri-privatizzazione del settore, salvato con miliardi di euro europei e ora ben felice di diventare preda degli appetiti speculativi statunitensi. E quando c’è di mezzo Paulson, non c’è da sperare che l’assedio perda d’intensità tanto facilmente, trattandosi dell’uomo che ha schiantato il mercato, scommettendo contro il mercato dei mutui subprime Usa quando tutti si lanciavano ad alimentare la bolla.
«Il governo greco si dimostri davvero pro-business. L’economia ellenica sta migliorando e di questo fatto certamente beneficerà il settore bancario», ha dichiarato Paulson al Financial Times, confermando che il suo fondo, Paulson&Co, ha notevoli posizioni azionarie all’interno sia di Piraeus che di Alpha Bank, i due istituti che stanno emergendo in condizioni migliori dalla crisi: «Entrambe le banche sono ben capitalizzate e sono destinate a riprendersi in fretta, anche grazie a un buon management». Calcolando che Paulson, da sempre, ha sposato la linea Cuccia, ovvero non parlare quasi mai in pubblico, queste dichiarazioni assumono ancora più valore. Significa che l’operazione è già fatta, sostanzialmente è già andata in porto. Basti vedere l’elenco di fondi speculativi già ben posizionati nel sistema bancario greco: Baupost, Eaglevale, Dromeus Capital, Falcon Edge, York Capital e Och-Ziff, oltre a fondi unicamente orientati su posizioni long come Wellington Capital Group e Fidelity.
Ora, qui non si tratta di fare gli anti-mercatisti, ci mancherebbe altro: un fondo speculativo, lo dice la parola stessa, non crea nulla se non ricchezza per sé e i suoi clienti. È sacrosanto, è una legge di mercato che se intravede un’opportunità legale di fare soldi in fretta e in grande quantità un gestore di hedge fund abbia l’obbligo verso i sui investitori di tentare quella strada. Diverso, però, è l’atteggiamento delle banche greche e del governo di Atene, i quali hanno degli obblighi verso i cittadini europei che con le loro tasse hanno fatto in modo che banche come Piraeus e Alpha venissero salvate per la collottola e tramutate nuovamente in soggetti operativi capaci di creare un profitto. Tanto da scatenare gli appetiti degli hedge funds statunitensi.
Il 75% di quanto ricevuto da Atene negli anni è stato utilizzato per il settore bancario ed è altrettanto vero che quei soldi sono serviti al servizio del debito in larga parte, ovvero a ripagare i creditori internazionali detentori di bonds, tra cui anche alcuni governi Ue, tutto vero. Il problema è che qui vengono messi non in secondo ma in ventesimo piano da un lato i diritti dei cittadini greci, i quali al netto delle belle speranze del governo stanno vivendo una crisi drammatica con tassi di disoccupazione spaventosi e dall’altro quelli dei contribuenti europei, i quali non sono detentori di bonds ristrutturati greci ma hanno visto le loro vite flagellate da continui aumenti di tasse per finanziare il Fondo salva-Stati che ha aiutato le banche greche, tra l’altro.
Degli 80 miliardi di nuovo debito creato in Italia quest’anno, 29 sono andati a questa finalità: soldi nostri che ora potrebbero divenire il balsamo salvifico di banche che faranno la gioia di fondi speculativi con sede a Manhattan, gente nemmeno sfiorata dalla crisi greca, se non per scommesse minime anche in quel caso puramente speculative. Non è un caso che sia solo il settore bancario quello che interessa i fondi Usa, visto che le privatizzazioni vanno a dir poco a rilento e Alexander Medvedev, ceo di Gazprom Export, ha detto chiaro e tondo che entrare nel mercato greco acquistando all’asta l’ente nazionale del gas è una scommessa troppo rischiosa. Certo, le banche greche ora hanno nuovi management, non quelli responsabili per i disastri combinati negli anni pre-crisi, ma la questione resta: a differenza di Spagna e Irlanda, Atene ha pagato un prezzo altissimo per il combinato folle politica-banche, la prima che truccava i conti, le seconde che compravano debito con il badile, salvo poi rischiare la bancarotta quando si è reso necessario il piano di ristrutturazione con tanto di haircut.
E che la torta faccia gola, lo si capisce dai numeri. Se il prezzo dei titoli di Alpha e Piraeus è salito solo dell’8% da quando i fondi Usa hanno cominciato a fare incetta, di fatto aumentando il capitale, i warrants tradati separatamente sono saliti rispettivamente dell’80% e di oltre il 100%. Questi warrants possono essere scambiati per azioni a un livello predeterminato e prima questo accade, più rapidamente il controllo della banca passa dallo Stato al settore privato: «Sarebbe bello trovare il modo di accelerare ulteriormente la privatizzazione, visto che la domanda sta crescendo enormemente», ha dichiarato festante al Financial Times, Vassilios Psaltis, direttore finanziario di Alpha. Un unico ostacolo per ora sta fermando questo processo, ovvero i prezzi di conversione ancora troppo alti per tentare gente scafata come i gestori di hedge funds: o si abbassano i trigger prices, oppure addio accelerazione tanto voluta e benedetta.
Peccato che ci siano le clausole chiare degli accordi tra Grecia e troika, i quali non prevedono possibilità di rinegoziazione dei termini dei salvataggi bancari. Almeno per ora, perché un domani non troppo lontano si potrebbero leggere bilanci e dati macro con l’occhio un po’ annebbiato e pur di vendere al mercato la balla della grande ripresa greca, qualcuno potrebbe ritenere il male minore – se non addirittura un manna dal cielo – il fatto di lasciare le banche greche nelle mani dei fondi speculativi Usa e lavarsene le mani, una volta per tutte, spingendo a tutta forza su privatizzazioni, dismissioni e tagli nel pubblico impiego come unici vincoli per continuare a erogare credito. È il mercato, lo ripeto, funziona così. Ma voi vi fidereste di una banca che ha come socio di maggioranza, anche se solo relativa, un hedge fund newyorchese? L’ultimo, terminale tradimento del popolo greco e della sue sofferenze sta per essere posto in atto. Nessuno sia così ipocrita, poi, di lamentarsi se in caso di voto anticipato Alba Dorata prenderà il 30%.