Scrivevo nove mesi fa in un articolo su queste pagine: “La catastrofe economica si avvicina a grandi passi, e a noi verrà dato un governo tecnico per impedire che la si possa sfuggire, riprendendoci la sovranità monetaria. Una catastrofe che, chi ha il triste privilegio di vedere i mercati finanziari speculativi, vede arrivare con un certo anticipo; è come avere una visione panoramica del mare, perché ci si trova al piano alto di un albergo, e lo stesso albergo si trova in una zona rialzata seppur vicino al mare, e vedere arrivare da lontano l’onda devastatrice dello tsunami”. Lo devo ammettere, mi sono sbagliato, non abbiamo avuto un governo tecnico, ma uno politico, anche se qui la politica è di fatto sparita, poiché non fa altro che reagire agli input che vengono dall’estero e al procedere della crisi. Una politica sempre più avviluppata sui propri problemi e sulla propria crisi, sempre più incapace di rispondere alle esigenze della popolazione, sempre più percepita come distante dai cittadini. E intanto la crisi avanza, mettendo a nudo questa cronica incapacità.
Hanno tolto l’Imu, ma ancora non è chiaro come copriranno la corrispondente mancata entrata. Quasi certamente risolveranno con un maggiore anticipo di tasse, ma questo non farà che diminuire il margine di manovra e le entrate per il 2014. Un anno davvero critico il prossimo, se come è ovvio continueremo ad avere un calo del Pil. La previsione del Pil, secondo la Commissione europea (e anche l’Istat), è del +0,7%, in calo rispetto alle stime precedenti: e sono gli stessi che avevano visto la ripresa nel 2011,e poi nel 2012, e poi quest’anno, e poi alla fine di quest’anno, e poi ci dicono che è colpa nostra perché non siamo ottimisti. Vengono in mente le parole di Peguy: “Una strozzatura sulla quale non c’è più nulla da dire, e nella quale colui che viene strozzato sembra avere così palesemente torto”.
Si prepara un prossimo anno da incubo, quello per il quale la disoccupazione era prevista in aumento al 12,4%. E invece l’abbiamo già ora al 12,5%. E il debito che vola alle stelle. Ogni tanto vi sono toni rassicuranti, perché l’ultima asta di titoli di Stato è andata benone, con sempre maggiori richieste. Ma c’è qualcuno che si rende conto che i mercati festeggiano la loro convenienza? C’è qualcuno che dice ai cittadini italiani che tanti titoli di Stato venduti vuol dire tanto debito in più da ripagare, insieme a interessi sempre crescenti? Il governo si prepara a nuove privatizzazioni: come potremo impedire che si arrivi a una vera e propria svendita, similmente a quanto sta accadendo in Grecia?
Ora a peggiorare la situazione in questo frangente tanto critico abbiamo pure l’euro in ascesa sul dollaro e su tutte le altre valute. Scrivevo sempre nove mesi fa: “Capito l’obiettivo? Vogliono sostenere l’euro, non i popoli. Vogliono rendere l’euro forte, sempre più forte, lasciando intendere che questa forza dell’euro è una benedizione, invece di essere la distruzione delle esportazioni, la distruzione di quei paesi pieni di inventiva, capacità imprenditoriale e qualità produttiva, come il nostro, che puntano tanto sull’esportazione. La distruzione di quei paesi che, come il nostro, possono puntare tanto sul turismo e sull’afflusso di capitali stranieri. Invece, certi poteri, soprattutto tedeschi, vogliono distruggere la nostra economia reale per poter esportare qui da noi senza una concorrenza fastidiosa. E per fare questo ci caleranno nell’inferno di una Grande Depressione, che ormai è alle porte (in Grecia ha già iniziato a bussare)”.
Eppure, in questo quadro disperante, qualcosa di grosso si sta muovendo. Proprio il giorno in cui il Santo Padre consacrava il mondo alla Madonna di Fatima, domenica 13 ottobre, a Roma si svolgeva il meeting dal titolo “Uscita dalla crisi”, organizzato dall’associazione Reimpresa. Ho già accennato a questo evento in un articolo passato, sottolineando come nell’occasione siano convenute diverse associazioni che perseguono un tentativo di unirsi per trovare soluzioni e azioni unitarie, per fronteggiare questa crisi od offrire soluzioni per questo scopo.
Allo stesso tempo, da un interessante articolo di Antonio Socci, sappiamo che a Norcia si è svolto l’annuale convegno dal titolo “A Cesare e a Dio”, nel quale quest’anno si è avuta una singolare convergenza tra schieramenti storicamente e culturalmente opposti (uno schieramento laico cristiano e l’altro laico non cristiano), proprio in considerazione del fatto che politicamente (parole dell’onorevole Quagliarello) “abbiamo un ventennio da recuperare, un ventennio in cui abbiamo operato reciprocamente una caricatura delle due parti che si sono contese e in questo quadro […] la politica ha perso qualsiasi possibilità di dirigere i fatti e le classi dirigenti sono diventate classi in realtà dirette, classi dirette dagli avvenimenti. […] Il lavoro da fare è la capacità di tracciare una agenda” e occorre tornare a un momento fondativo e unitivo, per affrontare le nuove sfide della modernità e della crisi attuale in modo unitario e risolutivo.
Socci giustamente sottolinea la novità e la rilevanza culturale di questo evento, anche perché l’alternativa è una storia che purtroppo abbiamo visto troppe volte in Italia, una storia che l’onorevole Bondi ha recentemente chiamato “una forma di guerra civile”. Ma c’è un aspetto, non rilevato da Socci (almeno nel suo articolo), che mi rende perplesso. Quel convegno si è concluso con un appello al governo e ai partiti: cioè culturalmente non si riesce a uscire dall’idea che la soluzione della crisi (culturale prima che economica) sia politica.
Questo aspetto mi pare ancora oggi veramente incredibile: come gli attori principali della politica non si rendano conto del fatto che la loro capacità decisionale è stata di fatto svuotata dalle regole, dalle convenzioni e dai trattati da loro stessi sottoscritti. Tale problema, comunque percepito, viene ridotto a una questione culturale e non a una questione fattuale dipendente dai vincoli che loro stessi si sono dati. Pretendono di fare politica economica, ma non si rendono conto che senza autorità monetaria essa è di fatto impedita. Pretendono il pareggio di bilancio per i conti dello Stato (tanto da introdurlo nella Costituzione, in un delirio di onnipotenza di poter comandare all’algebra), ma non si rendono conto che senza autorità monetaria (e possibilità di stampare moneta senza chiederla in prestito) è impossibile.
Ora altri eventi si stanno preparando: un secondo appuntamento a Roma per i movimenti che già si sono incontrati il 13 ottobre. Il 15 e 16 novembre si terrà il Forum Economia sempre a Roma, presso l’Hotel Parco dei Principi, dove si incontreranno alcuni nomi noti delle amministrazioni comunali italiani: oltre al sindaco di Roma, Ignazio Marino, vi saranno i primi cittadini di Pavia (Cattaneo), Parma (Pizzarotti), Palermo (Orlando), Firenze (Renzi), Bari (Emiliano), Torino (Fassino), Salerno (De Luca) insieme al presidente dell’Associazione Reimpresa e a numerosi altri ospiti, che per due giorni discuteranno sui temi caldi dell’economia, dello sviluppo, dei trattati europei e dell’euro.
Vi sarà anche uno spazio dedicato alle associazioni convenute, le stesse che già hanno partecipato al primo appuntamento del 13 ottobre. E questa sembra essere davvero un’occasione preziosa per tutte le parti partecipanti: un’occasione per le parti politiche, per capire che c’è una società civile che si sta muovendo e continuerà a muoversi per uscire dalla crisi, con o senza la politica. E un’occasione per le tante anime dell’associazionismo socialmente e politicamente impegnato, per iniziare un cammino nuovo, dopo aver trovato quella piattaforma comune che la politica stenta ancora a trovare.
E qual è questa piattaforma comune sulla quale associazioni tanto diverse stanno costruendo un’intesa? La sovranità nazionale in generale, la sovranità monetaria in particolare.