Estensione della cosiddetta “no tax area” a tutti coloro che dichiarano un reddito complessivo inferiore a 12mila euro. È questo il contenuto di due emendamenti alla Legge di Stabilità presentati da Pd (primo firmatario Giancarlo Sangalli) e Pdl (prima firmataria Anna Cinzia Bonfrisco) attraverso cui affrontare la rimodulazione del cuneo fiscale. Attualmente la soglia è fissata a ottomila euro e questa modifica sarebbe da finanziare attraverso tagli di spesa delle amministrazioni pubbliche, ma l’intervento ha già suscitato i primi dubbi: “L’operazione è molto costosa e non è finalizzata soltanto ai redditi più bassi. Ne beneficerebbero anche i più ricchi”, ha detto il viceministro dell’Economia, Stefano Fassina, secondo cui la Legge di Stabilità “resterà solida” senza particolari cambiamenti. Tra le altre misure ipotizzate, c’è anche chi pensa di tassare tutto il salario di produttività al 10%: è l’idea di base dell’emendamento presentato dall’ex ministro Maurizio Sacconi, attuale presidente della Commissione Lavoro del Senato, che chiede di sostituire in questo modo il taglio del cuneo fiscale. Le senatrici del Pdl Anna Maria Bernini e Maria Rosaria Rossi si sono spinte oltre proponendo di eliminare il pagamento della Tasi sulla prima casa, una tassa definita “ingiusta e iniqua che colpisce tutti indiscriminatamente”, mentre il relatore Pdl Antonio D’Alì vorrebbe fare a meno fin da subito del Trise a favore del Tuc, il Tributo Unico Comunale, una nuova imposta simile alla Service Tax ma con un’esenzione totale della parte relativa ai servizi indivisibili per tutte le abitazioni principali. In attesa che il caos iniziale possa offrire maggiore chiarezza, abbiamo fatto il punto della situazione con Ugo Arrigo, docente di Finanza pubblica presso l’Università di Milano-Bicocca.



Professore, come giudica l’estensione della “no tax area” fino a dodicimila euro di reddito?

Una misura del genere, se osservata singolarmente, è ovviamente positiva e in grado di alleggerire la pressione fiscale a una parte di popolazione che ne ha bisogno, ma credo che al momento non sia altro che un tassello di un disegno generale che ancora non si vede.



Manca un progetto complessivo?

C’è sicuramente bisogno di un ridisegno complessivo del sistema fiscale, che sia non necessariamente a breve termine ma che possa rivelarsi davvero efficace anche nei prossimi cinque, otto o dieci anni. E’ necessario innanzitutto scegliere di intraprendere un percorso preciso, costituito da azioni coerenti per raggiungere l’obiettivo che ci si è posti.

Cosa pensa invece dell’attuale situazione?

Dopo il dibattito sull’Imu, ho visto solamente entrare a far parte del nostro sistema fiscale tutta una serie di nuovi acronimi, dalla Tasi fino alla Tarsi e al Trise, decisamente incomprensibili. Bisogna sempre ricordare che una fiscalità così complicata prevede un impegno da parte del contribuente che non è solo monetario.



Cosa intende?

L’effetto prodotto dalle tasse è sostanzialmente quadruplo: il primo è chiaramente rappresentato dalla somma che il cittadino deve versare allo Stato e agli enti territoriali, mentre il secondo riguarda i soldi che dovrà dare a un professionista per farsi aiutare a calcolare quante tasse pagare. Il terzo effetto è legato al tempo che ogni contribuente perderà dietro le tasse, mentre il quarto è quello della tranquillità: dopo aver saldato tutte le imposte, aver pagato il commercialista e aver perso del tempo, nessuno ha comunque la certezza che ciò che ha fatto sia perfetto e che lo Stato non troverà qualcosa da contestare. Questo è probabilmente il peggior sistema fiscale che possiamo immaginare.

E’ d’accordo con i dubbi espressi recentemente da Fassina sulla “no tax area”?

È raro che mi trovi d’accordo con Fassina, ma in questo caso ha ragione. A meno che non si scelga di modificare l’intera impostazione di base, cosa che ritengo improbabile, una misura del genere verrebbe applicata a tutti i contribuenti che quindi inizierebbero a pagare le tasse dai dodicimila euro in su. Questo ovviamente comporterebbe spese troppo elevate che difficilmente potranno essere coperte.

 

Si poteva immaginare un intervento diverso?

In un momento del genere è quanto mai necessario ripartire dai consumi, quindi sarebbe stato più opportuno evitare di aumentare l’Iva dal 21% al 22%. Aumentare la soglia della “no tax area” di quattromila euro, invece, probabilmente non fa altro che confondere il cittadino ancora di più, rischiando di non far capire quali potranno essere i reali vantaggi. Ricordiamoci poi che, attualmente, l’aumento dell’Iva non viene neanche rilevato dall’inflazione, visto che sono gli stessi negozianti a farsi carico del rincaro pur di non ritoccare i prezzi. Il problema è che i consumatori, sapendo dell’azione del governo, non lo verranno mai a sapere.

 

A proposito di consumi, crede che la proposta legata all’aumento dell’area di non tassazione possa effettivamente incentivarli?

Come dicevamo, di per sé si tratta di una buona misura che potrebbe effettivamente incentivare i consumi, ma senza un preciso contesto non si va da nessuna parte. Bisognerebbe introdurre novità solo per fare un passo in avanti verso un preciso obiettivo, senza il quale si hanno solamente singole misure che lasciano il tempo che trovano. In ogni caso anche l’ampliamento della “no tax area” dovrebbe essere differenziato in base ad alcuni criteri.

 

Quali?

Ad esempio quello legato alla composizione del nucleo famigliare e il numero dei figli a carico. Sarebbe poi opportuno pensare alle differenze territoriali, visto che mille euro hanno un potere d’acquisto decisamente diverso a Milano o in un piccolo centro. Un’altra differenziazione potrebbe infine riguardare la grandezza della abitazione, vale a dire immaginare una superficie minima della casa non soggetta a tassazione, ma di tutto ciò ancora non si vede niente.

 

Come giudica la proposta avanzata da Sacconi che vorrebbe tassare tutto il salario di produttività al 10%?

Prima di tutto bisogna capire se il salario di produttività esiste veramente. Se un’impresa lo paga significa che può permetterselo, e quindi che va bene. Di conseguenza si può dedurre che probabilmente, in un momento di crisi come quello attuale, la proposta di Sacconi non rappresenta una priorità.

 

Oltre a tutto ciò che abbiamo commentato, cosa crede debba fare il governo di assolutamente prioritario?

Innanzitutto dare un segnale, in qualsiasi forma, per assicurare che non ci saranno più aumenti o sgradite sorprese. Solo a quel punto i cittadini potranno tornare a pensare di spendere qualcosa, ma finché ogni aliquota sarà mobile, come anche la fiscalità in generale, e finchè il cittadino rimarrà convinto che lo Stato si prenderà i suoi soldi appena ne avrà bisogno, allora questa crisi non conoscerà mai fine.

 

(Claudio Perlini)