In una proverbiale cornice “grave ma non seria” c’è chi vorrebbe trascinare la Germania a rispondere di “crimini contro l’economia globale”, volendo magari rispolverare i capi d’accusa di Norimberga. Nel 1945, almeno, la Germania aveva perso una guerra provocata dal suo regime hitleriano, che aveva portato distruzioni ovunque nel mondo. E il tribunale speciale chiamato a punire i responsabili di quella tragedia era stato creato dai suoi avversari: portatori di una civiltà politico-economica diametralmente opposta alla dittatura nazista. Oggi invece la Germania è accusata di “esportare troppo”, cioè di essere una democrazia economica funzionante all’uscita di un disastroso collasso economico-finanziario planetario provocato dall’avventurismo egemonico e irresponsabile dell’oligopolio bancario anglosassone.



La Germania sarebbe colpevole di aver parato i colpi della crisi bancaria senza compromettere le sue finanze pubbliche, rendendo nel contempo competitiva la sua economia reale: producendo buoni prodotti e servizi a prezzi concorrenziali sui mercati aperti. E questo senza giocare con la moneta né all’interno, né all’esterno, anzi. Ad alzare la voce contro la Germania sono invece quegli Stati Uniti che – dopo aver distrutto i mercati finanziari – dal 2008 stampano dollari finti per drogare la ripresa e offrire metadone alle proprie banche dissestate. Sono loro a violare le regole basilari del mercato: non diversamente dalla Cina che compete con le altre macro-aree globali senza tuttavia accettare gli aggiustamenti fisiologici di un’economia di mercato (anzitutto sul fronte del cambio).



Insomma: all’America il gioco del libero mercato non piace più nel momento in cui – certamente stavolta – lo sta perdendo o come minimo non lo sta vincendo. Purtroppo non è sorprendente che a Washington (ma soprattutto a Wall Street) facciano eco anche alcuni amici della Germania: paesi-membri dell’Unione europea, che hanno liberamente accettato di essere alleati di Bonn e poi di Berlino nella ricostruzione post-bellica e poi nell’integrazione dell’euro. Il dossier tedesco che lo stesso commissario Olli Rehn vorrebbe aprire è anzitutto grottesco: la Germania ha dimostrato che la Grande Crisi era e resta superabile adottando le terapie più dure ma più efficaci, comprendendone e curandone a fondo le cause. E affermando il mercato come cultura (europea), non come feticcio para-ideologico delle compagnie delle Indie di turno.

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