Air France non ha deciso di non sottoscrivere l’aumento di capitale di Alitalia per mero puntiglio e neppure perché spera di acquistare la compagnia italiana, in un secondo momento, per un tozzo di pane. Le ragioni del rifiuto le ha spiegate Alexandre De Juniac, numero uno della compagnia francese, intervistato da Repubblica: l’azienda dei Capitani coraggiosi non ha messo in atto una sola misura per ristrutturare il proprio ingente debito. «Abbiamo sempre proposto – ha aggiunto – di mettere a disposizione la nostra esperienza, ma non siamo mai stai coinvolti nel piano». Si dà il caso, ha inoltre precisato, che la due diligence sui conti sarebbe stata la strada più ragionevole, dal momento che Air France è la prima azionista di Alitalia e che le è stato chiesto di investire altri quattrini. Abbiamo chiesto ad Andrea Boitani, docente di Economia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che prospettive vede, a questo punto, per la compagnia.
Cosa ne pensa della posizione di De Juniac?
Si è trattato, in effetti, di una manovra suicida e inspiegabile a cui Air France ha risposto nell’unico modo in cui poteva, incastrando cioè gli azionisti di Alitalia nelle loro pretestuose ragioni. Il capo di Air France ha fatto inoltre presente che non ha mai chiesto tagli al personale, e anche in tal caso si può solo registrare che ha ragione. Vede, il nodo della questione è che non esiste alcun reale piano di ristrutturazione di Alitalia. È quello che l’Ad di Air France sta cercando di far capire agli azionisti. Il messaggio è: “Se intendete procedere con un piano del genere, fatelo con i vostri soldi”.
La trattativa con Air France è definitivamente chiusa?
Non direi. A patto, ovviamente, che gli italiani rispettino le sue condizioni. Peccato che l’intervento di Poste Italiane abbia rappresentato uno schiaffo morale, nei confronti dei francesi, durissimo.
Eppure, i francesi dovrebbero essere abituati all’interventismo statale.
Non è questo il punto. L’operazione di Poste italiane è servita esclusivamente a favorire gli azionisti italiani nella trattativa con Air France e a rafforzare la loro posizione, mentre non avrebbero dovuto fare altro che presentarsi dai francesi con il cappello in mano, pregandoli di prendersi Alitalia praticamente a costo zero.
Perché non lo hanno fatto?
Non entro nel merito. È noto che i Capitani coraggiosi facciano, semplicemente, i propri interessi, e che questi non coincidano con quelli dell’azienda. Ma se questo, in parte, è comprensibile, non lo è il fatto che lo Stato continui a intervenire con i soldi nostri. Oltretutto, in maniera così irrazionale: l’unico intervento plausibile doveva essere quello concertato con il solo acquirente serio, ovvero Air France.
A questo punto, cosa resta da fare?
Se la quota di Air France si svaluta, è evidente che esistono ben poche alternative: o gli azionisti italiani intendono restare all’interno della compagnia, aumentando significativamente la propria quota, e hanno in tasca i soldi per affrontare un’operazione del genere; oppure, continuano a mantenere la quota attuale e fanno entrare degli azionisti stranieri, evidentemente extraeuropei (essendo gli unici interessati).
Crede che quest’ultima ipotesi sia realmente praticabile?
Tutto è praticabile. Il problema resta sempre lo stesso: gli azionisti non europei non potranno salire oltre il 49% dell’azienda. Le norme comunitarie, infatti, prevedono che se la maggioranza di una compagnia aerea è detenuta da capitali stranieri, non può essere considerata un vettore europeo e, di conseguenza, perde una serie di diritti e privilegi nei confronti di paesi quali gli Stati Uniti, con i quali l’Ue ha siglato l’accordo Open Skies per regolare i flussi aerei transatlantici.
Il piano di rilancio delle rotte di lungo raggio si potrà mai concretizzare?
Di certo, Alitalia, con i soldi degli azionisti italiani, non ce la può fare.
(Paolo Nessi)