Accidenti ci mancava pure la deflazione. Non si parla d’altro: c’è, non c’è? Fa bene, fa male? Il leader degli industriali sottolinea la presenza di “una situazione di deflazione preoccupante” nel Paese. “Nonostante l’ultimo aumento dell’Iva, c’è l’inflazione in calo: significa che siamo in una situazione di vera e propria deflazione e questo è preoccupante”. Il numero uno della Bce, Mario Draghi, che pure ha tagliato i tassi di interesse, non sembra altrettanto timoroso per il basso livello dei prezzi in un contesto di crescita fiacca. C’è però un’indiscrezione del Frankfurter Allgemeine Zeitung, al quale una fonte anonima interna alla Bce avrebbe rivelato che Draghi sarebbe seriamente preoccupato del rischio deflazione in Europa, pur evitando di ammetterlo in pubblico. L’economista Christian Marazzi da parte sua dice: la deflazione è un pericolo perché ingenera quell’effetto domino di stagnazione/riduzione dei salari nominali che non incentivano gli investimenti e che, di conseguenza, contribuiscono a ridurre ulteriormente la domanda aggregata. La spirale deflazionistica è deleteria: aiuta, ma per poco, una crescita orientata all’esportazione, al prezzo però di una povertà dilagante. Crescita marginale a mezzo di povertà, ecco cos’è il rischio deflazione.
Beh, dopo tanto dire, dico anche della filosofia che sta nelle dichiarazioni di Jonathan Loynes di Global Economics, secondo cui “se non puoi vincere qualcosa, devi imparare a conviverci e apprezzarla”. Sì, perché se la deflazione che si intravvede, quella che si teme, pure quella che si auspica, mostra il fallimento di tutte la politiche di reflazione messe in campo per dare sostegno artificiale alla domanda, occorre fare di necessità virtù. Già, non si può, e ancor meno si deve, mortificare quel dispositivo del mercato efficiente buono per ripristinare l’equilibrio di prezzo tra domanda e offerta, quando si sta dinnanzi a un eccesso di capacità produttiva ovvero a redditi insufficienti a smaltire quella sovraccapacità.
Un maledetto danno, invece per i timorati della deflazione. Danno derivato dalla riduzione generalizzata dei prezzi, che rimanda gli acquisti, generando stagnazione economica e recessione. Danno perché vengono a ridursi gli utili delle aziende, i redditi di chi lavora e i tassi di interesse reali. Per i dannati, il contrasto operato dalle politiche reflattive tenta di ridurre questi danni. Ahinoi: invertire la caduta dei prezzi, mediante politiche monetarie e fiscali, gonfia il debito.
Si tenta, insomma, con la tecnica di rimuovere gli effetti della deflazione misconoscendone le cause: per lor signori sembrano essere i prezzi più bassi, non i bassi redditi, a tagliare gli acquisti! Sia come sia, per chi sia interessato a voler disinnescare la deflazione occorre ridefinire l’equilibrio del mercato per dare, magari, a Cesare quel che spetta a Cesare.
In quel mercato, appunto, dove la crescita si fa con la spesa. Eh sì, così viene generato reddito, quel reddito che serve a fare nuova spesa. Tocca, insomma, allocare quelle risorse di reddito per remunerare chi, con la spesa, remunera. Allocare? Sì, dare la giusta dose di trippa ai gatti. Quali risorse? Pressappoco 1500 miliardi l’anno: l’ammontare del Pil. Chi fa la spesa? Quelli della domanda aggregata. Come ripartire il remunero? In ragione del contributo alla spesa fornito da questi soggetti economici. Toh, i consumatori da soli, di quella spesa, ne fanno il 60%. A tutti gli altri aggregati tocca il resto.
Remunerati per fare la crescita, insomma, che come sanno i più risulta incompatibile proprio con la deflazione.