«Una maggiore flessibilità del mercato del lavoro italiano permetterebbe di rilanciare la produttività e la crescita senza costi aggiuntivi». Né è certo il professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze, secondo cui la strada maestra per uscire dalla strettoia rappresentata da ripresa lenta e debito alto passa da una riforma del mercato del lavoro. Come emerge dall’Economic Outlook dell’Ocse, la stima per il Pil dell’Italia nel 2013 rispetto a sei mesi fa passa dal -1,8% al -1,9%. Per gli osservatori i conti italiani migliorano ma “con un rapporto debito-Pil ancora in aumento, ci sarà bisogno di una stretta di bilancio intensa almeno quanto programmato nel 2014-15”.



Ue e Ocse continuano a proporci la solita medicina dell’austerity, ma questa blocca la ripresa. Che cosa andrebbe cambiato a livello europeo?

L’Europa può attuare una politica monetaria espansiva che abbassi il tasso di cambio e faciliti le esportazioni e il credito. Ciò può avvenire attraverso le misure di finanza non convenzionale, attuate anche dagli Stati Uniti, cioè attraverso la banca centrale che eroga direttamente il finanziamento alle banche prendendo in pegno i crediti dati alle imprese.



Per quali motivi queste misure non sono ancora state adottate?

Perché la Germania si è opposta alle misure non convenzionali, come pure all’Unione bancaria europea. Da questo punto di vista, quindi, la responsabilità della mancata crescita del Pil italiano sta a Berlino, che tra l’altro contravviene alla richiesta della Commissione Ue di ridurre il suo eccesso di avanzo nella bilancia commerciale. La Germania si oppone anche all’Unione bancaria, che consentirebbe di canalizzare maggiormente il credito verso Paesi come l’Italia, consentendo di superare l’attuale frammentazione del mercato finanziario.



Che cosa può fare allora l’Italia?

L’Italia avrebbe comunque di fronte a sé delle grandi possibilità per rilanciare la nostra economia. Quando il cambio è fisso, è indispensabile che le norme sul lavoro siano flessibili, e liberalizzare il mercato del lavoro non costa nulla. Alcuni contratti costano di meno in termini di contributi rispetto a quello a tempo indeterminato. Quest’ultimo ha dei contributi sociali che riguardano anche i compensi aggiuntivi per il lavoro straordinario e notturno.

Insomma, una maggiore flessibilità permetterebbe di rilanciare la produttività?

Se le piccole imprese potessero contare sugli sgravi in relazione al salario di produttività e ai lavoratori a tempo parziale, che costano meno anche in termini di contributi, i loro costi del lavoro si ridurrebbero. Le statistiche della Germania rivelano dei costi del lavoro minore, ma i contributi tedeschi per il lavoro a tempo indeterminato ordinario sono uguali ai nostri. La media totale dei contributi finisce però per essere superiore e gli impianti sono anche sfruttati di meno.

 

Quanto contano invece le regole Ue sul credito?

Per quanto riguarda il credito, la Bce ha fatto il massimo che poteva al punto che il governatore Mario Draghi è considerato un criminale dai tedeschi perché ha abbassato il tasso d’interesse allo 0,25%. Un membro non italiano della Bce prospetta addirittura il tasso negativo. Non essendoci l’Unione bancaria, questo basso tasso non consente comunque all’Italia di trarre dei benefici.

 

Per quali motivi?

L’unione bancaria consentirebbe a ogni banca, grande o piccola, di operare in tutti i Paesi dell’Ue in modo chiaro, trasparente e certo. A quel punto il credito in Italia sarebbe erogato a condizioni analoghe a quanto avviene in Germania. A Berlino il tasso d’interesse aumenterebbe un po’, mentre nel nostro Paese si ridurrebbe. È come quando si toglie la barriera tra due vasi comunicanti e il loro livello diventa uguale. Occorre quindi eliminare questa barriera costituendo l’unione bancaria.

 

(Pietro Vernizzi)