Probabilmente, non tutti sanno che la Banca d’Italia è di proprietà di soci privati, ovvero delle altre banche. Che, in quanto azioniste, detengono quote dell’istituto centrale. Ebbene, la valutazione di tali quote, è ferma al 1936. Complessivamente, valgono 156mila euro. Il governo, con un decreto che è slittato a martedì prossimo, intende aggiornarle al valore corrente. Dopo la rivolutazione, l’ammontare complessivo oscillerà tra i 5 e i 7,5 miliardi di euro. Soldi in più per le banche, ma anche per lo Stato, che beneficerà di un prelievo aggiuntivo sulle plusvalenze. Roberto Mazzotta, presidente dell’Istituto Luigi Sturzo, già presidente della Bpm, ci spiega il senso dell’intervento.



Come valuta l’iniziativa del governo?

Dal punto di vista tecnico, è un’operazione contabile dovuta, volta ad attribuire un valore più realistico ad una posta di bilancio che, negli anni, è rimasta uguale. Da un lato, sortirà l’effetto (direi piuttosto inconsistente) del rafforzamento della struttura patrimoniale delle banche, dall’altro – dal momento che emergeranno delle plusvalenze – si determineranno i presupposti perché lo stato benefici di un introito (le plusvalenze, infatti, vanno tassate).



Perché sostiene che i vantaggi per le banche saranno inconsistenti?

Tutte le casse di risparmio e tutti gli istituti di credito italiani sono azionisti di Bankitalia e, complessivamente, saranno almeno un ottantina. Ora, 5-7 miliardi di euro divisi per 80, rispetto ai numeri con cui hanno a che fare normalmente questi soggetti, rappresentano una cifra relativamente irrisoria. Certo, le quote non sono uguali per tutti, e banche come Intesa Sanpaolo o Unicredit ne hanno in pancia parecchie perché, semplicemente, nel corso degli anni hanno inglobato molte casse di risparmio. Ma, anche in questi casi, dal punto di vista del peso economico-finanziario complessivo non cambia nulla.



Nessun particolare beneficio, quindi. C’è, invece, per caso, il rischio che gli istituti vengano penalizzati per la tassazione delle plusvalenze?

Anche in tal caso, direi che si tratta di un intervento paragonabile a un prelievo del sangue. Non si può certo dire che si rischia lo svenimento.

Parliamo, allora, dei benefici per lo Stato.

Bisognerà capire come sarà calcolata l’aliquota sulle plusvalenze. Se, come immagino, sarà applicata quella in vigore per le altre plusvalenze, ammonterà al 20 per cento. Per le casse dello Stato, quindi, si tratterà di una cifra tutto sommato importante (anche se potrà essere incassata solo una tantum, dato che la maggiorazione del valore si determina esclusivamente nel momento in cui si effettua la rivalutazione). Direi, addirittura, che tale tassazione rappresenta l’unico e vero motivo di tutta l’operazione.

L’introito, dovrebbe essere vincolato a qualche misura particolare?

Parliamo, verosimilmente, di 1-1,5 miliardi di euro. Se, nell’ambito dell’esame della legge di Stabilità, consideriamo i problemi di reperimento delle risorse, credo che possano essere allocati pressoché ovunque.

 

Anche nel resto d’Europa le banche centrali sono di proprietà degli azionisti privati?

Assolutamente no. Si tratta di una peculiarità italiana. Dipende dalla legge di riforma bancaria del ’36 che, attribuendo particolari funzioni alla Banca d’Italia, ne stabilì anche i meccanismi regolativi dell’azionariato. Allora Mussolini non, non gradendo che tutto il potere fosse concentrato nella mani del Tesoro, ne trasferì parte alle Casse di risparmio, controllate da amministratori nominati dal regime.

 

Questa circostanza, in Italia, ha mai determinato dei problemi?

Mai. Perché gli istituti non si sono mai sognati di essere realmente gli azionisti di controllo. Le spiego, concretamente, come ha sempre funzionato: durante l’assemblea della Banca d’Italia, che da almeno 40 anni rappresentata una grande passerella dell’establishment nazionale, il governatore legge la sua relazione. Dopo di lui, interviene il rappresentante dei partecipanti che, in genere, è il capo della Banca più grande (negli anni passati la Cariplo, oggi Banca Intesa). Tale rappresentante, nel suo intervento, si limita a dichiarare che l’assemblea approva i conti presentati. Conti che nessuno dei presenti ha mai visto. Insomma, si è sempre trattato di un semplice prassi rituale e irrilevante.

 

Con l’avvento dell’euro, probabilmente, ancora di più

Indubbiamente. La funzione di emissione è stata trasferita a Francoforte e, a breve, lo sarà anche la vigilanza. La ritualità e l’irrilevanza vengono sancite in maniera definitiva.  

 

(Paolo Nessi)