«Le privatizzazioni del governo Letta non modificano la struttura della nostra economia. Forme di controllo di società come Eni, Fincantieri e Stm vanno comunque conservate, mentre occorrerebbe mettere sul mercato Ferrovie, Poste Italiane e Anas». È l’osservazione del professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze, dopo che il governo Letta ha annunciato un piano di privatizzazioni che prevede tra l’altro la cessione sul mercato di una quota pari al 3% circa di Eni.



Professor Forte, queste cessioni possono preludere a operazioni ancora più sostanziose?

Si tratta di privatizzazioni per fare cassa che non modificano la struttura. Quelle coinvolte sono già imprese di economia di mercato efficienti, e i 12 miliardi che saranno ricavati non cambiano la sostanza delle cose. In questo modo è possibile compensare la spesa per la restituzione dei debiti della Pubblica amministrazione. Ci può quindi essere una logica per evitare di aumentare il debito con questi pagamenti che non influiscono sul deficit perché sono già contabilizzati in quanto si tratta di arretrati. È però una manovra di pura finanza.



Perché ritiene che non si tratti di un intervento strutturale?

La cessione della quota di Stm rende 600 milioni, il 3% di Eni sicuramente di più, ma si tratta comunque di imprese di mercato in cui la quota pubblica era superflua rispetto al controllo.

È giusto rinunciare a qualsiasi forma di controllo pubblico nei confronti di queste imprese?

In particolare nel caso di Eni, Finmeccanica e Stm, l’operazione riguarda imprese per le quali è comunque necessario che ci sia la mano pubblica. Stm e Finmeccanica sono strategiche dal punto di vista militare, e anche altri Paesi come la Francia, il Regno Unito e gli Stati Uniti attuano un controllo pubblico nei confronti di società analoghe.



Si può dire lo stesso per l’Eni?

L’Eni è strategica nel senso che l’Italia non ha fonti di energia proprie, ed è quindi essenziale alla sopravvivenza avere un’impresa che garantisca gas e petrolio con rifornimenti attuati all’origine attraverso contratti. Tanto in Eni quanto in Stm e Finmeccanica il controllo pubblico dovrà quindi rimanere.

Quindi le privatizzazioni non potranno essere spinte fino in fondo?

No, ci son altre imprese, come quelle degli enti locali, che potrebbero essere alienate. Un caso è quello di Grandi Stazioni, dove una volta che si mantiene la struttura ferroviaria gli immobili possono essere alienati senza problemi.

Lei si aspettava di più?

Le privatizzazioni del governo Letta non modificano la struttura della nostra economia, che ha un settore pubblico dirigista in molti campi nei quali o non c’è efficienza adeguata o non c’è abbastanza concorrenza da parte del capitale internazionale. È un’operazione positiva, ma marginale. Poiché l’ideologia del Pd impedisce al governo Letta di incidere sulla struttura, si attuano delle misure che tutto sommato sono compatibili anche con quell’impostazione, ma ciò non è sufficiente per attrarre capitali internazionali.

 

Queste misure basteranno a convincere la Commissione Ue a liberare la possibilità di attuare investimenti aggiuntivi?

La Commissione Ue ha affermato che, siccome l’Italia ha un debito elevato, tutte le risorse a disposizione devono essere destinate alla riduzione del debito e non agli investimenti. Temo quindi che in questo caso Bruxelles dirà ancora di no. Non credo però che sia questo il vero scopo del governo Letta nell’attuare le privatizzazioni.

 

Invece di vendere, ritiene possibile individuare dei fondi nei quali mettere in garanzia le società pubbliche?

Ci sono molte società pubbliche che potrebbero essere privatizzate, a partire dalle Ferrovie, da Poste Italiane e da Anas. Si tratta di colossi che potrebbero essere messi sul mercato come società per azioni, facendo affluire anche il capitale internazionale. Ciò modificherebbe strutturalmente l’assetto della nostra economia con delle imprese dinamiche come le ferrovie e le poste tedesche.

 

(Pietro Vernizzi)

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