«L’austerity è stata una mossa ben studiata fin dagli inizi per riequilibrare la bilancia commerciale tra i Paesi del Sud e quelli del Nord, ben sapendo che il calo del Pil avrebbe impedito di abbassare il debito pubblico». Ne è convinto Alberto Bagnai, professore di Politica economica all’Università G. D’Annunzio di Pescara, secondo cui «da parte di Fmi e Ue non c’è stato alcun errore nel calcolare gli effetti dell’austerity: si è trattato di un progetto politico molto lucido e spregiudicato». Lunedì il sito web della Commissione Ue ha pubblicato uno studio dell’economista Jan In’t Veld sulle pesanti conseguenze delle politiche di rigore sul Pil dei Paesi europei. Dopo essere stato ripreso da un giornale greco, il documento è stato rimosso e poi ripubblicato con la precisazione che non si trattava della posizione ufficiale della Commissione Ue.
Professor Bagnai, che cosa ne pensa del caso suscitato dal documento di un economista della Commissione Ue contro l’austerity?
Si tratta di un caso emblematico dell’uso ideologico attuato nei confronti della politica economica. Quando sono state imposte le misure di austerità si sapeva perfettamente che avrebbero avuto un impatto negativo sulla crescita. Non è vero che il calo del Pil sia stato una sorpresa, né che il Fondo monetario internazionale abbia fatto male i calcoli e abbia rivisto le stime in un secondo momento. Ciò è assolutamente poco credibile, mentre a essere vero viceversa è quanto ha dichiarato Monti in una recente intervista rilasciata alla Cnn: “Abbiamo distrutto la domanda interna per riportare in equilibrio i conti esteri”.
Che cosa intendeva dire Monti?
L’austerità non è stata attuata per curare il problema della finanza pubblica del nostro Paese, bensì per ridurre l’esposizione debitoria di privati e imprese verso l’estero. Come scrive il manuale di politica economica di Nicola Acocella, l’austerità è un’ottima cura per gli squilibri esterni, ma non risolve quasi mai il problema degli squilibri fiscali. Ciò non poteva essere detto apertamente, e lo si è quindi presentato come un problema di debito pubblico. È stato un progetto politico molto lucido e spregiudicato.
Può spiegare in che senso l’austerity è servita a pareggiare la bilancia commerciale anziché il bilancio pubblico?
Il saldo della bilancia dei pagamenti è composto da esportazioni meno importazioni. Il saldo della bilancia dello Stato è dato dalla spesa pubblica meno i costi. Le politiche di austerità fanno sì che i privati guadagnino di meno, consumino di meno e di conseguenza importino di meno. Nel frattempo le esportazioni rimangono invariate in quanto dipendono dal ciclo mondiale. L’effetto sulla bilancia commerciale è dunque quello di migliorare il saldo estero.
Qual è invece l’effetto sul bilancio dello Stato?
Tagliando la spesa pubblica si riducono le uscite ma diminuiscono anche i redditi privati. Si comprimono così l’imponibile fiscale e le entrate pubbliche, e di conseguenza il saldo pubblico non migliora particolarmente e non si risolve il problema del debito. Si risolve però quello del debito estero: nel caso di un Paese che si indebita per importare, nel momento in cui si deprime la domanda e dunque le importazioni, la bilancia commerciale ritorna in equilibrio.
Ritiene che il caso Jan In’t Veld segnali anche un braccio di ferro sull’austerity all’interno della Commissione Ue?
Agli economisti che lavorano negli uffici della Commissione Ue è abbastanza chiaro che ci si incomincia a interrogare seriamente sulla sostenibilità dell’euro. Fino a prima dell’estate la soluzione prospettata era quella di incrementare la mobilità del fattore lavoro. Si volevano spingere cioè italiani, spagnoli e greci a cercare lavoro in Germania. Nel frattempo il blocco del Nord ha tentato di aggirare l’accordo di Schengen facendo passare delle proposte che limitino la mobilità interna all’Ue. La Germania vuole cioè prendere i migliori lavoratori italiani, come gli ingegneri. Il passaggio successivo ha spinto gli economisti della Commissione Ue a pensare a come segmentare l’euro.
Davvero persino nei palazzi della Commissione Ue si fa strada questa ipotesi?
Sono ormai sempre più numerosi gli economisti della Commissione che condividono le critiche e che pensano che non si possa più andare avanti così. Anche se la critica radicale ma costruttiva verrà fuori in modo organizzato dopo le elezioni europee. In Commissione però sanno che rischiano grosso a tirare troppo la corda. Il problema è sempre politico e di comunicazione. Non sanno come venirne fuori.
Insomma, l’unione monetaria è stata un fallimento?
Il professor Giacomo Vaciago sostiene che tutte le unioni monetarie nella storia sono fallite. In realtà ci sono state due eccezioni: quella tra il Belgio e il Lussemburgo e quella tra la Russia e l’Abkhazia.
(Pietro Vernizzi)