«Assegnare un reddito minimo garantito a tutti i cittadini rischia solo di creare degli equivoci. Meglio restituire ai più poveri le tasse che pagano attraverso l’Iva sui consumi necessari alla sopravvivenza». Ad affermarlo è Ugo Arrigo, professore di Finanza pubblica all’Università di Milano Bicocca. La legge di stabilità è arrivata al voto di fiducia sul maxi-emendamento e tra le ultime modifiche c’è la novità illustrata in aula dal viceministro all’Economia, Stefano Fassina: “Negli emendamenti riformulati dai relatori vi è un importante intervento, seppur sperimentale, per il contrasto alla povertà: l’introduzione di un reddito minimo di inserimento in alcune grandi aree metropolitane, che avvia un percorso”. Tra le novità della legge di stabilità c’è la Iuc, Imposta unica comunale, che sostituirà l’Imu e la Trise.



Professor Arrigo, perché l’idea del reddito minimo garantito non la convince?

Più che sotto forma di reddito minimo garantito, preferirei che il provvedimento fosse concepito come restituzione di tasse che il povero non dovrebbe pagare. Si può scegliere, per esempio, di calcolare l’Iva sulla base dei consumi minimi di cui tutti hanno bisogno. Anche chi non ha reddito ha la necessità di quei consumi minimi e deve pagarci sopra l’Iva che tra l’altro è aumentata, e sarebbe quindi giusto che lo Stato gli restituisse il 20%.



Rispetto alla proposta sperimentale del governo, lei cambierebbe solo il nome o anche il meccanismo di assegnazione?

Stabilire il principio in base a cui per il semplice fatto di essere cittadino ho diritto a un reddito presenta dei problemi. Un diritto economico per qualcuno è sempre un dovere economico per qualcun altro. Meglio quindi pensare a una restituzione delle tasse per i più poveri, perché ciò avrebbe un altro significato etico.

Che cosa ne pensa invece dell’aumento della deducibilità sull’Imu dei capannoni dal 20% al 30%?

Valuto questa scelta in modo positivo. Ciò che è fatto pagare sugli immobili produttivi, dovrebbe poi essere deducibile se non totalmente quantomeno al 70%. L’effetto è quello di fare pagare doppiamente sui capannoni necessari alla produzione e sul reddito ricavato dalla propria attività economica. Va bene quindi la tassazione di immobili anche produttivi a fini di sostentamento delle finanze locali, ma questa somma dovrebbe poi poter essere detratta dal reddito d’impresa.



Intanto la Trise è già andata in pensione e al suo posto ci sarà la Iuc. Sarà meglio o peggio dell’Imu?

Una rivalutazione delle rendite catastali di 10 punti equivale a parità di imponibili a una maggiorazione del 10% dell’aliquota, anche se ovviamente l’imposta non si applica alla prima casa che è totalmente esente. Se devo scegliere tra tassare totalmente la prima casa e non tassarla del tutto, preferisco la seconda opzione. La mia opinione è che l’imposta sulla prima casa andrebbe esentata in una misura proporzionale alla numerosità della famiglia che la abita.

 

Per quali motivi è contrario a un’esenzione di tutte le prime case?

Non intendo dire che sia giusto tassare tutte le prime case, ma allo stesso tempo non ritengo equo non tassarne nessuna. Un contribuente potrebbe, per esempio, avere una prima casa da 100 metri quadri e una seconda casa al mare delle stesse dimensioni, e quindi si troverebbe a pagare la Iuc sulla seconda casa. Un altro contribuente potrebbe avere soltanto una casa da 200 metri quadri e non pagare nulla seppur a parità di imponibile.

 

Alla fine con la Iuc si pagherà di più o di meno?

Alcuni servizi comunali ritengo che vadano comunque pagati, ma non è detto che il meccanismo migliore sia quello di farli pagare in funzione della grandezza della casa. Non mi trovo del resto d’accordo con questo balletto di sigle, che ha visto l’imposta comunale trasformarsi in Ici, Imu, Tuc, Trise, Tari e Tasi. Questo balletto di sigle e di aliquote, tale per cui ogni volta cambiano le regole, porta a fare sì che il cittadino non sappia bene a quali nuove imposte sarà assoggettato. L’effetto psicologico non è certo quello di una riduzione percepita della pressione fiscale, a prescindere dal fatto che i carichi complessivi aumentino o si riducano.

 

(Pietro Vernizzi)