Una grande novità si impone nel panorama europeo e sulla poliarchia di mercato regolato che lo domina. Quel grande intellettuale che fu Alberto Predieri aveva già tutto previsto in quel capolavoro edito nel 1998 dal glorioso editore Giappichelli di Torino: “Euro, poliarchie democratiche e mercati monetari”. In quel libro egli preconizzava l’asimmetria crescente tra forma contrattuale e polis. La polis sarebbe stata via via erosa dalla forma del mercato in guisa di prevalenza del contratto fra poteri tecnocratici che avrebbero man mano distrutto la volontà popolare trasfigurando la stessa poliarchia democratica.



La Commissione europea sta infatti preparando i dossier per dar vita ai cosiddetti “contractual arrangements”, ossia accordi contrattuali che dovrebbero intercorrere tra la Commissione e i singoli stati europei sovradeterminando lo scambio tra riforme economiche e istituzionali e l’erogazione di prestiti ai singoli stati medesimi in premio per le riforme effettuate. I contratti naturalmente sarebbero volontari e non obbligatori e dovrebbero avere, da quel che si sa, l’approvazione dei singoli palamenti nazionali – e ci mancherebbe altro. Del resto è questo il senso dell’intervista che domenica il ministro agli Affari Europei, Enzo Moavero Milanesi, ha concesso al Corriere.



Significativamente quest’intervista avviene dopo un’anticipazione dei “contractuals” apparsa qualche giorno fa sul Wall Street Journal, senza aver suscitato particolari attenzioni nella classe politica ma certo accendendo un faro sull’argomento (vedi anche l’articolo di Luigi Offeddu apparsa lo stesso giorno sempre su Il Corriere della Sera, non a caso l’unico giornale a darne notizia). Eppure i tempi stringono perché, allorché il 19 dicembre si riunirà il Consiglio europeo, i 28 rappresentanti dei paesi che aderiscono all’Ue si troveranno dinanzi bozze contrattuali bilaterali tra la stessa Ue e i singoli stati. Se si vorranno avere i prestiti bisognerà vieppiù sottoporsi a controlli ancor più stringenti da parte della inefficiente e incapace tecnocrazia europea.



Tutte le politiche di bilancio saranno sottoposte a stringenti controlli con una supervisione su tutti i paesi, nessuno escluso, anche la Germania. Questi contratti di fatto, da quel che si sa, rafforzano quello che eufemisticamente si chiama coordinamento e aggiungono un nuovo polo vincolante rispetto ai tre già esistenti: Ue, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale. Si tratta dell’applicazione di fatto di regolamenti già in vigore surrettiziamente: il Six Pack del 13 dicembre 2011, che riguardava la sorveglianza fiscale e una nuova procedura di controllo degli squilibri macroeconomici; al Six Pack si era aggiunto poi il 30 maggio 2013 il Two Pack che prevede norme di controllo speciali per i paesi in procedura di deficit eccessivo e per chi ha ricevuto aiuti finanziari.

Ciò che conta sottolineare è la forma giuridica cogente e compulsiva che i contractual arrangements in tal modo assumono depositandosi su regolamenti che non hanno mai suscitato l’interesse di alcuno. È inevitabile pensare che queste procedure aumenteranno il controllo occulto che la Germania già esercita sulla tecnocrazia. Non è un caso che il primo ad accendere un faro su codeste procedure sia stato un giornale così legato all’establishment nordamericano come è il Wall Street Journal. Evidentemente Mario Draghi non basta più. Il gioco si fa veramente duro e in questi mesi si deciderà se gli Stati Uniti vorranno ancora lottare per evitare la deflazione europea o consegnare invece l’Europa nelle mani della Germania. Le conseguenze geostrategiche, Nato in primis, sarebbero immense.