Forse è il caso di fare gli scongiuri. Alan Greenspan, intervistato da Bloomberg tv nel Giorno del Ringraziamento, ha detto di non veder alcun rischio bolla nei livelli attuali della Borsa americana. Ma l’ex presidente della Fed ha raffreddato gli entusiasmi aggiungendo che, a suo dire, la stima di una crescita del Pil Usa per il 2014, il 2,6% secondo il ministero del Tesoro, è senz’altro “troppo ottimistica”. “Non andremo oltre il 2% o poco più”, sostiene l’ex presidente della Federal Reseve.



La forbice tra finanza ed economia, dunque, sembra destinata ad allargarsi anche l’anno prossimo: Wall Street macina record storici (Dow Jones oltre 16.000 punti, Nasdaq a 4.000 e più, S&P 500 più di 1.800); a Tokyo l’indice Nikkei (+45% da gennaio contro il 26% di New York) torna ai livelli del 2007; Francoforte è già oltre. Con l’eccezione di Milano, che comunque registra un ragguardevole rialzo rispetto a gennaio, la finanza sembra aver archiviato i postumi della crisi esplosa sei anni fa sul fronte dei subprime americani. L’economia reale, al contrario, sembra ancora in alto mare, soprattutto in Europa.



E così, mentre si moltiplicano gli allarmi sulle possibili bolle (il Nasdaq, il debito pubblico del Sud Europa, il Giappone tanto per citare gli Sos più recenti), le banche centrali prendono atto che la politica di espansione monetaria ha sì permesso di evitare tracolli rovinosi, ma non ha portato alimento all’economia reale. Pare quasi di assistere a un drammatico tiro alla fune: riuscirà la finanza, grazie all’enorme liquidità a disposizione, a dotare l’economia dei mezzi necessari per avviare la ripresa? Oppure verrà confermato il vecchio detto per cui “è inutile portare il cavallo in riva al fiume se non ha sete”? Il mondo, sostengono i più pessimisti, è ormai caduto nella trappola della liquidità: il denaro è abbondante e, almeno all’apparenza, a buon prezzo. Ma, ahimè, scarseggiano le occasioni per fare business con profitto.



È un puzzle complicato, cui non è facile dar risposta. Janet Yellen, futuro presidente della Fed, non mostra segni di incertezza. Pur di far ripartire l’economia e sconfiggere la disoccupazione, la Federal Reserve è pronta a moltiplicare le indicazioni in senso espansivo. Certo, il tapering prima o poi partirà. Ma questo potrà avvenire solo quando i mercati si saranno convinti che il taglio degli acquisti di titoli sui mercati non sarà l’avvio di una stretta, bensì il passaggio a una politica più efficace. Anzi, secondo Goldman Sachs la Yellen non esiterà a mettere in campo la strategia del tasso di crescita nominale, l’arma suprema dell’espansione monetaria: una volta decisa che la crescita, ad esempio, debba essere del 5%, poco importa se il risultato sarà raggiunto solo grazie all’inflazione piuttosto che in termini reali.

Francoforte, intanto, dopo il taglio dei tassi fa trapelare proposte allo studio espansive, più nella tradizione anglosassone che germanica: Mario Draghi potrebbe imporre tassi negativi sui depositi presso la Bce piuttosto che avviare una nuova Ltro a vantaggio del sistema bancario subordinato, questa volta, a un impegno esplicito delle banche a supporto delle Pmi.

Ma forse il manifesto più rivoluzionario, sotto l’egida del Fondo monetario internazionale, ha preso corpo nei giorni scorsi a Sunnylands, nel sud della California. Un posto fuori dal mondo, frequentato solo dai coyote e dai Vip ospitati dalla Fondazione Annenberg, miliardario ed ex ambasciatore in Gran Bretagna. Così riservato che, l’8 giugno scorso, è stato scelto per ospitare l’incontro “informale”, lontano da microfoni e taccuini, tra Barack Obama e il presidente cinese Xi Jingping.

Qui, nel cuore del deserto, si sono riuniti a inizio novembre il ministro degli Esteri olandese, Nicole Bollen, il vice russo delle Finanze, Sergej Solchak, assieme a un’illustre schiera di giuristi ed economisti. Che hanno prodotto uno studio dal titolo “Il ruolo del Fondo Monetario nelle crisi future del debito sovrano”. Non più di una ventina di pagine, ma che potrebbe avere un peso enorme nella vita di noi italiani.

Già, perché il libricino è una sorta di manifesto delle idee che il Fondo Monetario intende opporre alla terapia dell’austerità applicata a Grecia e Portogallo e che è stata alla base delle terapie imposte a Italia e Spagna. Una strategia nuova che il New York Times descrive così: a pagare il peso del risanamento delle finanze, d’ora in poi, non dovranno essere solo i contribuenti e i cittadini dei paesi in crisi, ma anche i creditori bancari. Anche loro, banche tedesche in testa, devono accollarsi parte dei costi della crisi dopo aver lucrato per anni interessi record. Anche loro, al pari dei paesi più ricchi, devono concordare piani realistici per favorire una ripresa vera delle economie in crisi.

Una visione da piano Marshall da opporre ai piani “finti”, sulla Grecia ad esempio, in cui si fissano obiettivi impossibili che andranno rinegoziati nel giro di mesi. Austerità sì, insomma, ma solo se al Paese debitore verrà offerto il tempo necessario per porre rimedio alla crisi e affrontare un percorso credibile di ripresa. Quello che non è avvenuto in Grecia. O in Italia, dove il costo della frenata imposto dalla stretta del governo Monti ha fatto precipitare il Bel Paese in una recessione da cui non se ne esce ancora.

Avrà qualche possibilità di successo il piano che il Fmi, in cui hanno ruoli di punta grand commis francesi, come il direttore generale Christine Lagarde e il capo economista Olivier Blanchard, oppure prevarrà l’opinione tradizionale? Sia le banche che i tedeschi hanno già opposto un secco no. Anche l’Amministrazione Usa, che pure è oppressa da un grande debito, è scettica: il rischio è quello di far scappare le banche o di spingerle ad aumentare gli interessi. Ma il Fmi ha in mano un buon argomento: le terapie dell’austerità, per ora, non hanno dato frutti. Sull’Europa incombe una marea di 6.400 miliardi di titoli di Stato, pari al 70% del Pil del Vecchio Continente. Davvero si pensa di poter far fronte a questi debiti con una politica di tagli che deprime i consumi e la produzione? O di affidarsi solo alla Borsa e al calo dei Btp senza interventi in grado di far ripartire la domanda?

I rialzi dei mercati azionari possono aiutare. Ma, soprattutto in Europa, la corsa dei listini non aiuta a redistribuire la ricchezza e di riflesso a far ripartire la domanda. Insomma, se non si fa qualcosa per l’economia reale, la finanza prima o poi rischia di affogare, ancor più che scoppiare.