«Se dovesse vincere le primarie dell’8 dicembre, Matteo Renzi potrà dettare al governo la sua linea in tema di politiche del lavoro, scombinando le carte e avanzando proposte fortemente innovative». Lo afferma Guido Gentili, editorialista ed ex direttore de Il Sole 24 Ore, secondo cui «sul piano fiscale, invece, la politica del governo difficilmente cambierà in modo incisivo dopo l’uscita di Forza Italia dalla maggioranza. Alfano ha fatto capire che non accetterà un inasprimento delle tasse, perché a quel punto verrebbe a trovarsi sotto schiaffo da parte dei berlusconiani».



L’uscita di Forza Italia dalla maggioranza cambierà la posizione del governo riguardo l’Imu?

Quella per la definizione della seconda rata dell’Imu è una partita ancora in corso, come testimonia anche il braccio di ferro tra Governo e i sindaci. L’impegno politico secco dell’abolizione dell’Imu sulla prima casa, sul quale era nato l’esecutivo delle larghe intese, nasceva su richiesta dell’allora Pdl ma era stato riconfermato da Alfano. Nel frattempo il 16 gennaio le persone che abitano nei Comuni che a suo tempo avevano alzato le aliquote potrebbero trovarsi a pagare l’Imu. A ciò si aggiunge la questione relativa alla nuova Iuc, con una rilevanza dal forte impatto politico.



Quali saranno le conseguenze del cambiamento della maggioranza?

Letta si è detto sicuro che adesso il governo potrà marciare più speditamente. Dall’osservatorio di Palazzo Chigi la realtà è questa, anche se c’è un duplice problema che andrà valutato. Il primo è l’incognita di quanto accadrà dopo le Primarie del Pd dell’8 dicembre. Il secondo è la concorrenza tra Forza Italia e Nuovo Centro Destra, rispetto a cui qualsiasi provvedimento che preveda un incremento della tassazione scatenerà un coro di critiche dei berlusconiani nei confronti di Alfano.

La nuova maggioranza consentirà al governo di attuare riforme più incisive?



Mi sembra prematuro dirlo, in quanto la situazione non è ancora così chiara. Viste anche le difficoltà sulla legge elettorale al Senato, mi sembra difficile immaginare delle grandi riforme costituzionali. Il fatto che Forza Italia sia passata all’opposizione fa venire meno anche in termini numerici la possibilità di modificare la Carta fondamentale.

Il reddito minimo garantito potrà entrare nel programma di governo come in Germania?

Il ministro del Welfare Giovannini ha ottenuto il finanziamento della Carta per l’inclusione sociale. Esistono alcune differenze rispetto al reddito di cittadinanza, ma ci si avvicina sia dal punto di vista della strumentazione tecnica, sia dell’obiettivo di combattere la povertà. Per ora è però solo un esperimento cui sono stati destinati 120 milioni di euro per tre anni, e che rappresenta quindi una goccia nel mare.

 

È possibile una riforma del mercato del lavoro?

Su questo abbiamo le proposte di Pd e Scelta Civica. Il senatore Pietro Ichino ha cercato di introdurre degli elementi di novità nei contratti, ma la sua iniziativa non si è fatta largo più di tanto in Parlamento. Non c’è stato spazio per interventi in questo senso nella legge di stabilità e non li vedo nemmeno per il futuro. È interessante capire quale partita giocherà Renzi, che sembra intenzionato a scombinare le carte sul terreno del lavoro fino a un’eventuale abolizione dello Statuto dei lavoratori.

 

La Merkel ha annunciato che non rinuncerà al rigore europeo. In che modo il governo italiano può rispondere a questa presa di posizione?

Dobbiamo prendere atto del fatto che per l’Europa l’alleanza tra Cdu e Spd non cambierà assolutamente nulla. I margini a disposizione del governo italiano sono abbastanza ristretti in quanto non ci sarà nessun allentamento della posizione tedesca. La Merkel ha rifiutato categoricamente di aprire un confronto sul richiamo dell’Ue relativo alle partite correnti del modello tedesco. Quest’ultimo si avvantaggia dell’esistenza dell’euro svantaggiando parallelamente l’area del sud.

 

Nello stesso tempo la Commissione Ue ha richiamato l’Italia all’ordine sulla questione del debito…

Avremmo potuto fare come Spagna e Francia, che pur avendo un deficti di gran lunga superiore al nostro hanno deciso di trattare con la Commissione Ue per ottenere di rientrare al di sotto del 3% in un arco di tempo maggiore. L’Italia ha scelto di percorrere la direzione opposta, rientrando anzitempo al di sotto del limite del 3%, e ora diventa impossibile ritrattare gli accordi già sottoscritti.

 

(Pietro Vernizzi)