C’è da sentirsi sollevati. Non ce ne siamo accorti, ma ci hanno diminuito le tasse. Il governo, in un nota, ha spiegato, infatti, che non solo le famiglie italiane sono «al riparo da significativi incrementi di imposta», ma che, addirittura, «sono oggetto di sgravi fiscali». E se nella legge di stabilità è presente un sensibile aumento impositivo, non ci dobbiamo preoccupare: esso proviene, prevalentemente, dalla banche. Abbiamo chiesto a Oscar Giannino, giornalista economico, come stiano realmente le cose.
Pagheremo meno tasse?
Non direi. Personalmente ho fatto gli stessi calcoli che sono apparsi, tra gli altri, su Il Sole 24 Ore. Ebbene, il saldo positivo tra entrate e uscite e la riduzione fiscale di cui parla il governo stanno in piedi esclusivamente assumendo un’interpretazione forzata delle norme presenti nella legge di stabilità; norme che, attualmente, contengono un livello di ambiguità tale da non consentire tale interpretazione.
Ci spieghi.
Se, per esempio, prendiamo in considerazione la nuova tassazione sugli immobili, stando a quanto c’è scritto nel testo varato, si può dedurre esclusivamente un aumento rispetto alla normativa precedente. L’unico dato espresso con chiarezza, inoltre, afferma che, complessivamente, ci sarà un aggravio fiscale di circa un milione di euro. Non è un caso che il governo, nella nota di ieri, ha ribadito che gli sgravi supereranno gli aumenti di tasse, senza però rispondere alle obiezioni di chi afferma che il prelievo sugli immobili potrebbe determinare il contrario.
Il governo afferma anche che la parte di aggravio dipende prevalentemente da interventi sugli intermediari finanziari.
Il governo si riferisce a operazioni quali l’aggravio dell’imposta di bollo sui conti correnti che proviene, come sostituto d’imposta, da intermediari finanziari; resta il fatto che a pagarla, sono i correntisti.
La Cgia di Mestre ha sottolineato che tassare le banche comporterà danni per tutti i cittadini.
È evidente. Gli intermediari finanziari italiani fanno pagare un elevato differenziale sugli impieghi di capitale perché hanno pesanti sofferenze, problemi di founding, e devono accantonare risorse perché hanno 400 miliardi di euro di titoli di Stato in pancia. Tutto questo, si traduce in un maggior costo del capitale per famiglie e imprese. In ogni caso, come se non bastasse, ci sono dei fattori che non sono contenuti nella legge di stabilità (e che il governo si è ben guardato dal sottolineare) che, con ogni probabilità, comporteranno un ulteriore carico impositivo.
A cosa si riferisce?
Anzitutto, non sappiamo a quanto ammonterà l’aumento finale di varie accise (si intende, per esempio, aumentare quelle sulla birra per finanziarie il diritto allo studio); non sappiamo neppure come si regolerà la partita della riduzione della detrazione Irpef del 19% (una clausola di salvaguardia ipotizza un taglio da 3 miliardi nel 2015 e da 7 nel 2016). Insomma, il governo dà rassicurazioni che non esistono in norme scritte.
Cosa accadrà quando sforeremo il tetto del 3%? Il governo giura che non ci sarà bisogno di aumentare le tasse.
Anzitutto, considerando l’andamento della nostra economia, lo sforamento è molto probabile. Detto questo, il governo dirà che per evitare quel rischio scatteranno delle misure automatiche già previste in precedenza. Esattamente come la riduzione delle detrazioni Irpef. Il problema è che, ogni volta, ci si accorge della maturazione del rischio la sera prima che la clausola scatti. Sarebbe stato preferibile ipotizzare un quadro di legislazione contabile pluriennale che inglobasse tutti gli aumenti previsti, per poterli affrontare con tagli di spese o sostituzioni d’entrate. Questo è la ragione per cui c’è stato un secondo aumento automatico dell’Iva.
(Paolo Nessi)