Che tanti sacrifici siano valsi a nulla è solo un fosco presagio? Oggi, la Commissione Europea valuterà il livello di disavanzo che il nostro Paese raggiungerà entro l’anno. Si ricorderà che, solo pochi mesi fa, in estate, l’Italia aveva brindato per la chiusura della procedura di infrazione per aver sforato il tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil. Verosimilmente, a causa delle stime al ribasso sulla crescita del Pil, sforeremo di nuovo. Se l’Ue certificherà proprio tale circostanza, a breve potrebbe partire una nuova procedura d’infrazione. Alfred Steinherr, docente di Economia all’Università di Bolzano, ci spiega che lo scenario potrebbe evolvere in maniera meno drammatica di quanto si teme.
Ci attendono nuove sanzioni?
Non credo. Ormai quasi tutti, in Europa, sono disposti ad accettare il fatto che in questo periodo è quasi impossibile ottemperare ai negoziati. La congiuntura sfavorevole rende estremamente problematico alimentare la domanda aggregata e abbiamo già visto che la Francia ha ricevuto un trattamento decisamente comprensivo rispetto alla situazione. Inoltre, in Europa c’è la consapevolezza del notevole sforzo che il governo italiano sta compiendo per rispettare i parametri di Maastricht. Credo, quindi, che rispetto a un anno fa ci sarà un atteggiamento più morbido, mentre le esigenze del rigore e quella della crescita saranno maggiormente contemperate.
Cos‘è cambiato rispetto a un anno fa?
Anzitutto, la Merkel, che è costretta a governare con l’Spd, dovrà rispettare molto di più la volontà del suo partner. È in corso una fase di negoziazione particolarmente delicata su ogni singolo punto del programma e, di certo, questa volta i socialisti sono intenzionati a condizionare l’operato della cancelliera molto più che in passato. E si dà il caso che essi insistano per un atteggiamento meno rigoroso. Inoltre, in Europa, si è compreso che la convinzione che la crescita sarebbe stata successiva alla stabilità dei conti pubblici era sbagliata.
Quindi, possiamo stare tranquilli?
Tranquilli, no. L’Italia paga meno interessi sui titoli di Stato rispetto al passato, ma la sua crescita rimane bassissima, mentre non ci sono le condizioni per creare posti di lavoro. Inoltre, ha un debito estremamente elevato che sarebbe sostenibile se la crescita fosse vigorosa. Dal momento che il Pil ristagna, è necessario continuare a tenere i conti in ordine.
Stiamo vivendo una fase di particolare fibrillazione politica. C’è il rischio che, nella percezione dei partner europei, la situazione precipiti?
Non direi. Berlusconi sta per uscire di scena e il Pdl non è più la forza di un tempo. L’Europa nutre la speranza che un capitolo stia per essere chiuso: mi riferisco a vent’anni in cui non è stata varata una sola riforma strutturale di cui il Paese aveva bisogno.
Come possiamo tornare a crescere?
Tanto per cominciare, è necessaria la fiducia dei mercati, in modo da poter per rifinanziare il Paese a tassi di interesse più bassi. In tal senso, di strada ne è stata fatta, ma ce n’è ancora tanta da fare. Detto questo, occorre realizzare una serie di importanti riforme, a partire dalla liberalizzazione dei servizi pubblici (trasporti, sanità) e privati (professioni) e del mercato del lavoro. Si consideri che si tratta di riforme che daranno i loro risultati in tempi medio-lunghi.
In ogni caso, cosa dovrà fare l’Italia per riuscire a stare entro i margini indicati?
Aumentare le tasse, evidentemente, non si può fare, perché inasprirebbe ulteriormente la stretta recessiva. Occorre, anzitutto, tagliare la spesa pubblica improduttiva. Prima o poi si renderà anche necessario allargare la base tributaria: non solo combattendo l’evasione fiscale vera e propria, ma anche semplificando e rendendo molto più trasparenti le leggi di natura fiscale. In Italia, in molti riescono a versare al fisco molto meno del dovuto perché dispongono di avvocati o commercialisti esperti che, leggendo tra le pieghe di una normativa elefantiaca e confusa, riescono a individuare scappatoie che, sulla carta, sono del tutto legali.
(Paolo Nessi)