Le economie europee più malconce sperano, a questo punto, che la Bce intervenga. La Commissione europea, infatti, ha rivisto al ribasso le stime della crescita dell’Eurozona, registrando un andamento negativo per Italia (-1,8%), Grecia (-4%), Spagna (-1,3%), Olanda (-1%), Portogallo (-1,8%), Slovenia (-2,7%), Finlandia (-0,6%) e Cipro (-8,7%). Per indurre un cambio di tendenza, Mario Draghi potrebbe tagliare ulteriormente i tassi, già attualmente al minimo storico (0,5%) o disporre, per la terza volta, dell’Ltro (Long term refinancing operation), ovvero di un’asta di liquidità straordinaria con cui concedere finanziamenti alle banche. Francesco Forte, economista e già ministro delle Finanze, ci spiega che scenari si prefigurano.
La palla passerà realmente alla Bce?
Indubbiamente. La Bce, il suo presidente e la maggioranza del board vorrebbero adottare politiche espansive per controbilanciare quelle fiscali europee. Queste, evidentemente, sono deflattive, dato che il rientro nei parametri di Maastricht comprime la domanda. In particolare, vorrebbero dare luogo a un riequilibrio che non comporti tanto l’espansione volta alla piena occupazione, come nelle teorie keynesiane, quanto piuttosto ovviare alla riduzione che si è determinata nella circolazione monetaria in virtù della riduzione del deficit. In sintesi, sarebbe intenzione della Bce contrastare i fenomeni derivanti dall’austerity non tanto per generare inflazione, quanto per riequilibrare il sistema.
Da cosa è bloccata?
Anzitutto, dal fatto che un taglio dei tassi continuerà a essere inefficace finché non si realizzerà l’unione bancaria, senza la quale il denaro continuerà a restare intrappolato nelle maglie della non trasparenza. Quindi, in Germania. Questo dipende dall’abnormità del divario tra i tassi di interesse dei diversi paesi europei. Mi riferisco, da un lato, ai tassi dei debiti pubblici, giustificabili, in parte, con il rischio che essi comportano, dall’altro, al costo del capitale per famiglie e imprese: i prezzi pagati dalle banche per acquistare denaro sul mercato interbancario, e gli interessi applicati sul credito rivenduto, variano significativamente da Paese a Paese.
E se ci fosse l’unione, cosa cambierebbe?
Se ci fosse, e se disponesse di un’unica centrale di rischio, potrebbe essere la stessa Bce a stabilire il costo del credito. Ma l’unione bancaria continua a essere ostacolata dalla Germania.
Per quale motivo?
Tanto per cominciare, per un cinico interesse: continuare a guadagnare dagli elevati differenziali. Inoltre, il Paese, da sempre è sottoposto al potere delle banche. L’Unione bancaria dà loro molto fastidio e non vogliono sottostare al suo controllo. Tutto ciò determina un cortocircuito con la Merkel, la quale, a differenza della sinistra tedesca che ha bisogno del sostegno degli istituti per ottenere il potere, può contare sull’appoggio delle industrie.
Quindi?
È auspicabile che la Bce, prima o poi, riesca a convincere i tedeschi che ragionare in questo modo non solo è miope, ma anche svantaggioso persino per loro. Se i paesi dell’Ue continueranno a soffrire, ben presto potrebbero trovarsi senza un mercato in cui vendere i propri prodotti, dal momento che anche quelli esteri stanno pian piano decrescendo.
L’Ltro è una strada maggiormente praticabile?
Direi di sì. Le misure non convenzionali superano le difficoltà, perché riguardano direttamente le banche che chiedono di farvi ricorso, e possono farlo a parità di condizioni. A meno che non sia la Bce a valutare il rischio della banche che le chiedono dei soldi. In ogni caso, è di sicuro la strada che Draghi seguirà con maggiore probabilità.
(Paolo Nessi)