Io capisco che questo Paese sia troppo occupato da altro, ovvero il caso Cancellieri o la telenovela infinita sulla decadenza di Silvio Berlusconi o persino il destino di Massimiliano Allegri, ma tutto mi sarei aspettato tranne che il silenzio di tomba che ha accolto l’intervista concessa l’altro giorno da Romano Prodi a QN-Quotidiano Nazionale. Più che altro per i suoi contenuti, visto che l’ex presidente della Commissione europea ed ex primo ministro italiano – euroentusiasta da sempre – ha dichiarato che «Italia, Francia e Spagna dovrebbero unirsi e sbattere i loro pugni sul tavolo contro la politica d’austerità voluta dalla Germania. L’opinione pubblica tedesca è convinta che ogni stimolo all’economia europea sia un aiuto a i pigri cittadini del Sud e sono ossessionati dall’inflazione come un adolescente con il sesso. Non capiscono che il vero problema oggi è la deflazione, come dico da un anno». No, avete letto bene? “Mister Euro” in persona che spara un’intemerata simile contro l’atteggiamento dei padroni del vapore e di fatto sposa le posizioni che il sottoscritto vi sta mandando a nausea da almeno la fine del 2011. Minacciando Berlino del fatto che, avanti di questo passo, se si arrivasse a un diverso tasso di cambio per l’euro tra Nord e Sud Europa (che, di fatto, c’è già), la Mercedes non venderebbe più una sola vettura nell’eurozona, Prodi rincara la dose: «Oggi c’è una sola nazione che comanda, la Germania».
Chapeau, ma mi pare che questo cambio di pensiero giunga un pochino tardivo e, mi viene il dubbio, solo perché dopo la trombatura sulla strada del Quirinale, oggi il Professore ha bisogno di argomenti “popolari” per uscire dal silenzio in cui il Pd lo ha relegato a suon di franchi tiratori. Poco mi importa, più gente dice le cose come stanno, meglio è e più possibilità ci sono di cambiare le regole. Per Prodi, poi, «la ratio debito/Pil è cresciuta negli ultimi tre anni, nonostante l’austerità. È una politica fallita». Cosa devono sentire le mie orecchie… E ancora, riguardo la regola del 3% deficit/Pil: «È stupido che non sia stata cambiata in 20 anni. Un deficit al 3% va bene in alcune condizioni, in altre dovrebbe essere allo 0% e in altre ancora al 4% o 5%». Peccato che grazie alla firma del Fiscal Compact, dal 2015 quella percentuale scenderà per il nostro Paese allo 0,5%: ovvero, la morte. Per il Professore, inoltre, la Germania vive come “Alice nel Paese delle meraviglie” in confusione intellettuale, se pensa di poter avere un surplus di conto corrente del 7% del Pil (tre volte quello cinese), con inflazione pari a zero e così facendo non bloccare la ripresa.
Già, avete letto bene: 7% di surplus. E qui mi arrabbio veramente, non tanto con la Germania ma con il mio Paese, troppo occupato dalla decadenza di Berlusconi per rendersi conto che un’enorme, unica e quasi certamente irripetibile opportunità si sta spalancando per cambiare il corso di questa crisi e della struttura stessa dell’Ue. La Commissione europea, infatti, ha avvertito ufficialmente la Germania che potrebbe dover affrontare una procedura disciplinare proprio per l’eccesso di surplus commerciale che vanta a spese degli altri paesi membri. Insomma, dopo il Tesoro Usa, la mancanza di volontà tedesca di aiutare il resto dell’Unione a uscire dalla crisi viene sottolineata anche dalla Commissione. «Ne discuteremo la prossima settimana», ha confermato il Commissario agli Affari economici, Olli Rehn, al termine della presentazione del report autunnale della Commissione, testo che conferma come il surplus tedesco resterà ampiamente sopra cifre intollerabili almeno fino al 2016. Per l’esattezza, 7% del Pil quest’anno, 6,6% nel 2014 e 6,4% nel 2015, una violazione netta delle regole di “sbilanciamento macro” dell’Ue.
Insomma, proprio ora che davvero si potevano sbattere i pugni sul tavolo e cercare di cambiare la disfunzionale politica tedesca, proprio ora che si era aperto uno spiraglio, l’Italia non c’è. È occupata a fare altro, magari i soliti balletti sull’Imu che si paga o non si paga. Follia, irresponsabile follia. E i giornali? E i telegiornali? Avete sentito una parola su quanto sta accadendo in sede Ue? No, avete soltanto sentito del nostro rapporto deficit/Pil a rischio di sforatura di uno 0,1%, notizia tanto vera quanto strumentale a battaglie tutte politiche all’interno della maggioranza. Vergogna, mi viene da dire. Anche perché nonostante i buoni propositi e le belle parole, la crisi resta e anzi rischia di inasprirsi. Per Jonathan Loynes di Capital Economics, «è troppo presto per dichiarare che la crisi è finita. Tanto più che, in virtù delle regole comunitarie, le banche continuano a mettere a dieta i loro bilanci, tagliando all’interno di questo processo sempre di più la concessione del credito. Il tasso di disoccupazione dell’eurozona non scenderà sotto il 12,2% almeno fino al 2015 e penso che molte previsioni rese note nell’ultimo periodo siano un po’ troppo ottimistiche».
Ma non basta. Per Lars Christensen di Danske Bank, le autorità europee stanno ripetendo gli stessi errori fatti dal Giappone all’inizio degli anni Novanta, quando la deflazione si impossessò del sistema: «Molte nazioni dell’eurozona sono già in piena deflazione e questo rende ancora più difficile trovare una soluzione ai problemi del sistema bancario e delle traiettorie di debito. Non c’è crescita nella fornitura di moneta, quindi la situazione è destinata a peggiorare, non a migliorare. È come il Giappone, soltanto che per l’Europa l’epilogo potrebbe essere peggiore, visto l’alto tasso di disoccupazione rispetto a quello nipponico dell’epoca». Infine, Nicholas Spiro, guru del mercato dei bond sovrani: «Le cose stanno per passare di male in peggio e ogni discussione riguardo una possibile ripresa è semplicemente fuori luogo. È uno shock, infatti, vedere il numero di paesi dell’Ue la cui ratio debito/Pil sta salendo sopra quota 100%».
Eppure uno spiraglio c’era, c’è: inchiodare la Germania alle sue responsabilità, bilanciare finalmente il quadro macro dell’Ue, eliminare quei tabù che stanno solo aggravando la crisi dei cosiddetti “periferici” a tutto vantaggio di Berlino e della sua economia. Ma sarà un’occasione persa, già lo so e l’Italia avrà una responsabilità enorme in questo. Il problema sostanziale, però, è anche altro e Romano Prodi non lo ha volutamente toccato. Lo capisco, diplomaticamente aveva già rotto gli argini della sua proverbiale moderazione. Lo faccio io allora: nulla cambierà se non cambierà in primis la Bce, la quale sta facendo il gioco della Germania, dimenticando il suo ruolo di Banca centrale e tramutandosi unicamente in braccio destro delle pressioni politiche di Berlino e Bruxelles verso il sud Europa.
Chi sta violando il suo mandato, non facendo nulla per raggiungere l’obiettivo prefissato di inflazione al 2%? La Bce. Chi non sta facendo nulla e anzi ha abbandonato ogni tentativo di giungere all’obiettivo di crescita della massa monetaria M3 al 4,5%? La Bce. La quale, essendo guidata da un italiano, gode nel nostro Paese di una sorta di intangibilità. Romano Prodi e la sua intervista ne sono la dimostrazione, visto che il suo ragionamento – in cui mi ritrovo in pieno – non poteva che avere come epilogo le conclusione che ho appena tratto.
All’inizio di quest’anno, fu la Fed di Richmond in un suo documento ad anticipare queste conclusioni: «La Bce deve cominciare a rendersi conto che i problemi dell’Europa sono più che strutturali. Ha bisogno di smettere di utilizzare la politica monetaria come un fulcro per raggiungere cambiamenti strutturali e deve terminare la sua politica di contrazione». Nel silenzio generale della stampa italiana – che si è premurata di riportare solo le dichiarazioni sull’Imu – parlando con la CNBC a Londra, anche il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, ha scoperchiato per la prima volta il vaso di Pandora: «Ciò che potrebbe essere più efficace di un’iniezione di liquidità sono misure che segnalino come la politica monetaria europea stia prendendo in considerazione il fatto che l’euro sta diventando molto forte. Mi aspetto che la Bce mantenga la sua promessa di mantenere l’attività economica e il tasso di inflazione a livello tale da non precipitare nell’area pericolosa della deflazione. L’Italia è un Paese molto predisposto alla promozione del suo export e un tasso di cambio euro/dollaro attorno a 1,40 certamente non può essere considerato un elemento facilitatore per la nostra industria».
Capito? Ma qui si parla di Imu, non di Bce. Sapete invece cosa fa la Bce? Commissiona e finanzia un report, pubblicato l’altro giorno, in difesa del trading ad alta frequenza, sentenziando come questo garantisca efficienza al mercato, miglior prezzatura dei titoli e maggiore flusso di liquidità, tesi smentite da decine e decine di studi compiuti negli ultimi anni e di cui vi ho parlato tempo fa. Di più. A chi ha commissionato questo studio delirante e totalmente inutile, stante problemi contingenti ben più importanti, la Bce? A tre accademici statunitensi, Jonathan Brogaard, Terrence Hendershott e Ryan Riordan. Non c’è speranza cari lettori, mettetevi l’animo in pace e attendete di conoscere il vostro destino. Deciso, ancora una volta, da altri.