E adesso? C’è infatti da porsi questa domanda dopo la mossa a sorpresa di Mario Draghi di abbassare di un altro quarto di punto il costo del denaro, portandolo al minimo storico dello 0,25%. E il perché è intuitivo: quanto altri conigli potrà tirar fuori dal cilindro il numero uno dell’Eurotower? O, per usare un’altra metafora, quanti altri bazooka ci sono nell’arsenale della Bce? Pochi. Forse solo un altro, quello dell’extrema ratio. Anche perché siamo in pieno clima di deleverage sia nel settore privato che pubblico, un qualcosa che potrebbe porre ulteriori pressioni deflazionarie che appaiono dure da contrastare con la pura politica monetaria. Già in passato, poi, la Bce ci aveva riservato colpi a effetto simili, capaci sì di scatenare reazioni positive sui mercati finanziari, ma con un impatto decisamente limitato sull’economia reale. E questa volta, anche l’effetto in Borsa è stato short-lived.
Per Richard Kelly, senior strategist alla TD Securities, ormai siamo giunti al redde rationem: «I rischi al ribasso per l’economia sono abbastanza gravi da far comprendere chiaramente alla Bce che c’è un’unica opzione perseguibile, un programma di acquisto obbligazionario sullo stile della Fed. Potrebbe ormai essere l’unica opzione. Quanto fatto giovedì è stato sparare un colpo per indebolire l’euro, ma dopo questa mossa, o si passa ai tassi negativi o al QE. Appena anche il mercato avrà digerito questa realtà, aspettiamoci parecchia volatilità».
Certo, Draghi non ha escluso l’utilizzo possibile di tassi negativi sui depositi, di fatto facendo pagare un prezzo alle banche e obbligandole a generare flussi di liquidità nell’economia reale, ma pensate che questa strada sia percorribile? Al netto del dato da mani nei capelli delle sofferenze bancarie nell’eurozona, particolarmente nei paesi periferici, credete che le banche apriranno i rubinetti o preferiranno pagare qualcosa ma tenere i soldi in caldo nei depositi overnight? Oltretutto con la supervisione bancaria e gli stress test alle porte.
D’altronde, la realtà è chiara di fronte ai nostri occhi: da quando in settembre la Fed ha fatto capire che il “taper” del programma di stimolo non sarebbe stata una misura immediata, l’euro si è apprezzato fortemente sul dollaro e ha portato al crollo dell’inflazione. Il problema è che il netto calo della moneta unica europea sul dollaro dopo l’annuncio di Draghi è stato temporaneo, tanto che dal minimo di 1,329 è risalita a 1,34 già nel trading pomeridiano: insomma, più vicino al massimo del 25 ottobre, 1,383, che al minimo intraday. Sono in molti, infatti, a ritenere quella della moneta unica una over-reaction dovuta all’effetto psicologico della mossa a sorpresa di Draghi sul primo giorno di trading: insomma, una mossa più esagerata di quanto giustificato. Tanto che più di un operatore forex si dice convinto che non ci saranno molte mosse ribassiste da quota 1,3470.
Anche sul fronte dell’inflazione, poi, occorre fare dei distinguo: se infatti è vero che il livello CPI dell’eurozona è allo 0,7%, in Spagna ad esempio siamo allo 0,1%. Ci sono insomma, divergenze molto forti e in alcuni casi, come quello iberico, quelle divergenze rischiano di portare con loro a breve delle conseguenze davvero negative. Non si può nemmeno imputare tutto a un problema di liquidità, poiché ne abbiamo tantissima nell’eurozona; il punto è incoraggiare l’attività di prestito e questo si può fare solo se la Bce lavorerà di concerto con le autorità fiscali: a settembre i prestiti ad aziende non finanziarie nell’area euro si sono contratti del 5,5% anno su anno, un dato inaccettabile se si vuole parlare di ripresa. Tanto più che, come già ricordato prima, ora le banche devono fare i conti con Basilea III e con gli stress test, quindi saranno disposte a tutto tranne che ad aprire i cordoni della borsa senza garanzie ferree.
Per questo in molti vedono all’orizzonte un’altra asta di rifinanziamento a lungo termine, Ltro, per fare in modo che gli istituti di credito facciano ripartire il meccanismo di trasmissione del prestito: sarà dicembre la data dell’annuncio? Draghi ha detto chiaramente che il mese prossimo saranno pronti gli studi in base ai quali sarà possibile dare un arco temporale più preciso al periodo da lui definito genericamente “lungo” di bassa inflazione che ci aspetta: un’asta in grande stile sarà il corollario a quel dato? C’è poi da tenere in considerazione il fatto che l’Europa non è un mondo a parte, bensì una componente dell’economia e della finanza globale, quindi destinata a subire anche shock esogeni.
E un primo colpo ieri è arrivato, come vi dicevo, dal dato sull’occupazione non agricola negli Usa, con un +204mila nuovi posti di lavoro, quasi il doppio dei 120mila delle previsioni e con il tasso di disoccupazione salito al 7,3% dal precedente 7,2%. Detto fatto, le Borse del Vecchio Continente hanno subito aumentato i ribassi, poiché questi numeri potrebbero riattivare il dibattito sul “taper” della Fed. Questo cosa ci dice? Che i mercati non riflettono più nulla che non sia correlato al flusso di liquidità della Fed: una buona notizia diventa cattiva se può comportare un ripensamento sul programma di stimolo, mentre una pessima notizia fa impennare gli indici perché allontana la prospettiva di un ritiro o una diminuzione di quegli 85 miliardi di dollari al mese che stanno facendo la gioia di fondi e speculatori di vario genere.
Oltretutto smentendo una diceria abbastanza diffusa negli ambienti finanziari, ovvero che gli assets hanno già prezzato almeno in larga parte l’ipotesi di un “taper”: andate a vedervi la reazione di Borse, oro e argento, rendimenti obbligazionari e dollaro subito dopo la diffusione del dato sull’occupazione e capirete che di prezzato non c’è proprio nulla. Quindi, quando davvero arriverà almeno il momento di rallentare quel fiume di denaro – e prima o poi la Fed dovrà farlo – quale sarà la reazione dei mercati globali? A quale correzione dei corsi dobbiamo prepararci? Io temo che il dato di ieri sia stato un po’ “cucinato”, visto che, anche alla luce dello shutdown, quella cifra mi pare abbastanza bizzarra. Ma questo fa parte del gioco, le banche centrali per statuto devono anche manipolare la realtà per poter operare al meglio. O, quantomeno, nell’interesse della propria economia.
Quando comincerà a farlo anche la Bce? Mario Draghi, se mai leggesse queste righe, non prenda la mia come una provocazione ma come un consiglio. Accorato, quasi disperato.