Una telefonata allunga la vita. Nel famoso spot Telecom era lo squillo che offriva al condannato un provvidenziale appiglio di fronte a un impaziente plotone di esecuzione. A volte anche le telefonate di un Tribunale dalle parti Karlsruhe a un’istituzione europea possono avere lo stesso effetto. La notizia è quella di una comunicazione informale del Bundesverfassungsgericht (l’Alta Corte Federale Tedesca) alla Bce in ordine allo slittamento del deposito di un’attesa sentenza. Quella che la Suprema Corte tedesca avrebbe dovuto rendere in questi mesi sulla costituzionalità delle Outright Monetary Transactions (OMTs), la possibilità di acquisto, teoricamente illimitato, da parte della Banca centrale europea sul mercato secondario del debito sovrano a breve dei paesi che abbiano sottoscritto i protocolli d’intervento dell’Esm (la tasca europea alimentata da tutti).



Pochi dubbi che una dichiarazione d’incompatibilità con la Grundgesetz (la Costituzione Federale) poteva rappresentare una sentenza capitale per la moneta unica. Sebbene l’Alto Tribunale non possa colpire direttamente il programma, senza la collaborazione tedesca, attraverso l’assunzione pro-quota dell’esposizioni della Bce per il tramite dell’Esm, quel programma sarebbe carta straccia. Le conseguenze non richiedono doti divinatorie. Solo un po’ di memoria della condizione dei mercati prima dell’ormai famoso “whater it takes” di Mario Draghi.



Come nel caso dello spot, la telefonata, non comunica la definitiva grazia al condannato. Lascia lo spettatore alquanto curioso del suo destino che sembra proiettarsi nell’infinito. Quel che è certo è che accanto a questa legittima curiosità, di domande, gli spettatori europei ne avrebbero tante. Come può una Corte Costituzionale di un singolo Paese decidere del perimetro delle attribuzioni di un’istituzione dell’Unione europea , la Bce? Tale compito non spetterebbe, trattati alla mano, alla Corte di Giustizia dell’Unione?

Com’è possibile per un organo giudiziario pronunciarsi non su un atto, ma sulla ventilata possibilità di un’azione? Il programma OMT’s, allo stato, non è altro che un comunicato stampa di 462 parole e una serie di dichiarazioni da parte del presidente della Bce. Peraltro una possibilità d’intervento, mai realizzata, che è stata sufficiente a raggiungere obiettivi impensabili. “Probabilmente la misura di politica monetaria di maggior successo dei tempi recenti”, diceva con orgoglio suffragato dai fatti Mario Draghi. E ancora e andando allo spiccio, com’è possibile che la Corte di un solo Paese possa attentare alla stessa esistenza della moneta unica faticosamente messa in (temporanea) sicurezza dai Governi e dalla Bce?



Qualche risposta “tecnica” e di “cronaca giudiziaria” a queste domande. L’art. 123 (1) del Trattato sul Funzionamento dell’Ue preclude “la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea…alle amministrazioni statali, …così come l’acquisto diretto… di titoli di debito…”. È il noto divieto di “monetarizzazione” del debito degli Stati. Se la Bce violi il detto principio e se, più in generale, tramacini dagli argini delle sue competenze con le “sue” OMT’s dovrebbe essere la Corte di Giustizia europea a stabilirlo.

E difatti, l’ipotesi di un rinvio a quella Corte è senz’altro nel novero delle possibilità. Anzi, rappresentò l’argomento più insistito a difesa della Bce da parte di Schäuble, in rappresentanza del governo tedesco, davanti il Tribunale federale. Tuttavia l’aria che tirava alle “audizioni” del 12 e 13 giugno scorso non era esattamente quella. Il Presidente del Tribunale, Andreas Voßkuhle, ha da subito chiarito essere a suo avviso “compito del Tribunale decidere se la Bce eserciti competenze che non sono state trasferite a livello europeo o che, per ragioni di natura costituzionale, non potevano essere trasferite”. Se a ciò si aggiunge il significativo lasso di tempo ormai trascorso (troppo lungo per la decisione più semplice) e i precedenti dell’Alto Tribunale tedesco, tutti orientati a difendere le sue prerogative nei casi simili, il rinvio pare davvero ipotesi di scarsa probabilità.

Altrettanto presente nelle prime schermaglie è stato il dubbio di non potersi pronunciare su una ipotesi. In questo senso si era ad esempio espresso il Giudice Michael Gerhardt. La voce del Presidente non ha neanche in questo caso mancato di farsi sentire. Voßkuhle ha sovrapposto l’annuncio dell’intenzione della Bce di acquistare i titoli di Stato di paesi membri non appena ciò si rendesse necessario a un avviso del governo rivolto ai cittadini tedeschi che, in quanto tale, può violare i loro diritti fondamentali. Dietro il fioretto giuridico la sostanza che una pronuncia dopo l’inizio degli acquisti fosse tardiva e il danno ai contribuenti tedeschi già servito.

Questo dicono le cronache, ma non basta. Occorre dare risposte più profonde a queste domande. Perché leggerne le radici ci inoltra nel cuore dei problemi evolutivi dell’Unione di oggi. Nell’essenza delle sue attuali aporie nascenti dal suo originario disegno costruttivo che pone quelle linee evolutive, all’evidenza ormai, in un binario morto.

Il luogo figurato dove stare seduti e da cui guardare con qualche possibilità di capire lo stallo, di cui il rinvio è evidente ulteriore sintomo, è la collina della sovranità degli Stati. La Cee prima e ancora oggi l’Ue dopo il trattato di Lisbona, nascono e sono rette da un mandato di diritto internazionale che limita quella sovranità, ma di cui gli stessi Stati rimangono assoluti depositari. L’Unione non ha dato vita a un nuovo ordinamento originario che, per usare l’espressione icastica che si usa per gli stati, “superiorem non recognoscet”. Il suo cordone ombelicale che la lega ai paesi fondatori non è stato reciso per dare vita a uno stato federale.

Di fatto non stabilisce da sé le sue competenze (non ha la cosiddetta “Kompetenz-Kompetenz”) e ripete la sua sfera d’azione da quelle attribuzioni che gli sono date nei trattati. Questa semplice realtà i Giudici costituzionali tedeschi non si sono mai stancati di ricordarla a Bruxelles, per la verità in compagnia di molte Corte Costituzionali dei paesi membri, inclusa quella italiana. Negli ormai suoi numerosi pronunciamenti, la Suprema Corte tedesca ha sempre ribadito, fino allo sfiancamento, che gli Stati sono “Herren der verträge”, Padroni del contratto, e che dunque il Parlamento tedesco deve rimanere “Herr seiner entschlüsse”, Signore delle sue decisioni.

In sostanza, da una parte il Parlamento deve prestare il proprio consenso a ogni modifica dell’originario mandato costituzionale che implichi un passaggio ulteriore nel processo di integrazione, dall’altra la Corte federale ha il potere di sorvegliare tale processo e di pronunciarsi su ogni atto che travalichi la Costituzione. In questa prospettiva, una violazione dell’art. 38 (1) della Grungesetz si può profilare qualora il Bundestag rinunci alle sue funzioni in materia fiscale. In quest’ambito, per i Giudici di Karlsruhe, non solo la Germania (come gli altri Stati membri) non sì è mai spogliata delle sue competenze, ma non sarebbe neanche possibile un “trasferimento su base indefinita delle scelte fondamentali in materia di bilancio”.

Siamo al cuore delle prerogative dello Stato tedesco, che non potrebbe proclamarsi invano “democratico” oltre che “federale” come fa all’art. 20 della sua Carta. E per la verità al cuore delle prerogative di ogni Stato moderno per il quale non è possibile alcuna imposizione fiscale senza legittimazione democratica. È il “No taxation without representation” dei coloni americani che ha plasmato tutte le carte fondamentali.

Dietro tutto ciò vi è però di più. Una corrente di pensiero giuridico ormai dominante in alcuni circoli tedeschi. L’idea che qualunque nozione di democrazia, al di là dell’orizzonte nazionale, è nel migliore dei casi semplice utopia, nel peggiore, un vero e proprio pericolo perché la mette a repentaglio, laddove ha radici più profonde e forti, negli stati nazionali. Perché ogni esercizio di diritti sovrani deve promanare dal popolo (“Staatsuolk”), la formazione della cui volontà politica postula l’esistenza di una forma di opinione pubblica che può svilupparsi solo attraverso il libero scambio delle idee e un processo continuo di interazione tra forze e interessi sociali. Oggi, tali condizioni esistono solo nell’ambito dello Stato nazionale ove il popolo può esprimersi e influire su ciò che lo riguarda su una base relativamente omogenea spiritualmente, socialmente e politicamente.

In termini più semplici, questa corrente di pensiero, la cui più raffinata espressione si rintraccia proprio nelle sentenze della Corte Costituzionale tedesca, ritiene che non esistendo un popolo europeo, dunque un dibattito pubblico europeo, non può esistere democrazia in Europa. Neanche se domani si dotasse il Parlamento di Strasburgo di pieni poteri d’indirizzo politico. Se le cose stanno così, chi parla di union bonds o di altre forme di collettivizzazione del debito, con conseguente possibilità che ad altri Stati del continente sia data una carta di credito con addebito sul conto corrente del contribuente tedesco, non sa di cosa parla. Dovrebbero passare sul cadavere della Corte Costituzionale tedesca. Di qui anche tutte le fatiche nel far progredire l’architettura finanziaria europea a iniziare dall’Unione bancaria che, come nel caso della gravidanza, è noto non si può fare a metà, o un pochino, e fatta per come deve essere (cioè, con un meccanismo genuinamente europeo di risoluzione delle crisi) apre le porte a potenziali perdite dei contribuenti tedeschi non controllate a priori dal Bundestag.

Ora, non è obbligatorio essere d’accordo con le visioni senza speranza dei Giudici tedeschi di un Europa che non è, e non sarà mai (non solo democratica). Anzi quelle visioni trasudano tutta l’ideologia del Volk metafisico che gode di “esistenza eterna” teorizzato da Savigny nel 1840, il cui lascito storico è stato il nazismo. I popoli, piuttosto, come più “laicamente” insegna Habermas (non inutilmente un grande tedesco) “emergono con le loro Costituzioni”, non le precedono. Perfino laddove l’ideologia ha cancellato le tracce del loro emergere da una congerie indistinta. Lo sappiamo bene noi italiani (forse ancora D’Azeglianamente in costruzione), ma anche grandi nazioni come gli Stati Uniti, prima del patto federativo un manipolo di coloni provenienti da paesi diversi, che parlavano in origine lingue diverse e appartenevano perfino a religioni diverse.

E però che i trattati istitutivi, concepiti per dar vita a un’organizzazione internazionale e non a una nuova organizzazione statale, abbiano esaurito ogni margine di espansione e anzi, si siano espansi fin troppo a danno del cardinale principio democratico delle nostre tradizioni costituzionali, non dovrebbe essere la Corte Costituzionale tedesca a ricordarcelo. È palmare, basti pensare al pellegrinaggio ormai preventivo a Bruxelles delle leggi di stabilità nazionali, arterie femorali della scelte fondamentali della democrazia. E tuttavia tali appalti della sovranità delle politiche fiscali non solo sono ineluttabili, in un sistema di single currency, ma anche insufficienti. I temi delle riforme strutturali, microeconomiche e del mercato del lavoro, oggi inclusi nei Piani di Riforma Nazionale oggetto di coordinamento in sede di Consiglio, non potranno essere lasciati a lungo nella disponibilità degli Stati. La competitività di un Paese è questione che riguarda l’euro non meno dei bilanci di uno Stato aderente alla moneta unica. Da qui l’invenzione dei contractual arrangements.

La sentenza è comunque attesa per la fine dell’anno ed è improbabile che i Giudici di Karlsruhe, che non vivono in cielo, buttino via l’acqua sporca (i rischi di perdite) e il bimbo (l’euro). Come è stato in passato nelle pronunce sugli altri meccanismi di salvataggio (Efsf ed Esm) si attendono paletti, ma non radicali bocciature. Peraltro, essendo l’intervento della Bce successivo alla sottoscrizione di stringenti Memorandum vincolanti da parte dei paesi che chiedessero l’apertura dell’ombrello delle OMT’s e condizionato dall’azione del Fondo salva-Stati (Esm), dove il principio del controllo unanimistico dei singoli stati sugli aiuti è ben saldo, i giudici federali avrebbero buoni argomenti atti a sedare le loro preoccupazioni di una delega in bianco che scavalchi il Bundestag.

Ciò che non accadrà è che la sentenza mandi a casa il famoso plotone della telefonata che allunga la vita. Staremo anche dopo il deposito ancora a chiederci che fine farà il condannato. Finché non si cambierà canale per un’altra storia.

Leggi anche

SCENARIO UE/ Il "problema Italia" che decide le sorti dell'euro20 ANNI DI EURO/ Il fallimento europeo che può darci ancora anni di crisiFINANZA/ La “spia rossa” sull’Italexit accesa da Bloomberg