Ci risiamo, sembra che il tempo si sia fermato: siamo ancora prigionieri dello scenario apocalittico del pagamento dell’Imu del giugno e dicembre 2012. Non è mutato nulla: una disinformazione totale sulle modalità di versamento dell’imposta e che cosa pagare, la gente che si scanna e si accalca negli uffici Caf, che, soprattutto nelle grandi città, restano l’unico baluardo nel cercare di arginare le carenze degli uffici comunali preposti a un minimo d’informazione a riguardo. Lo scorso anno i nostri governanti ci avevano detto di aver pazienza, in quanto questo nuovo “balzello” sulla casa, fra l’altro considerato drammaticamente indispensabile alla risoluzione dei problemi economici del nostro Paese, era appena partito e le norme per l’attuazione della legge che regolavano questa nuova tassa erano giustificatamente in ritardo poiché il Fisco nazionale doveva mettersi d’accordo con i vari Comuni sull’incasso, in particolare sull’entità del tributo.



Così a giugno 2012 per l’acconto non si capiva chi pagare (Ufficio delle entrate o Comuni o tutti e due), quanto per la prima casa quanto per le seconde, box, negozi, magazzini, ecc., quando e con quale modalità di calcolo. A dicembre poi, per il saldo, i comuni avevano tempo fino a quasi la fine dell’anno per deliberare in merito all’aumento dell’aliquota, mentre al fisco andava bene la cifra versata per l’acconto, ma solo per la prima casa. È stato il caos più assoluto, il contribuente (soprattutto la frangia più anziana della popolazione) ha vissuto la vicenda nella confusione e nello sconforto più totale, mentre i Caf, preposti a risolvere in tempo tutti i problemi sorti per questa assurda legge, hanno vissuto mesi da incubo senza riferimenti e certezze di come comportarsi per il calcolo dell’imposta.



Per quest’anno si pensava che tutto fosse andato a posto; poi, dopo le promesse elettorali (quelle di “tirare via” la prima casa dal computo della tassa), le quali sono diventate l’ago della bilancia per l’equilibrio finanziario e politico dell’azione del governo italiano, è cominciata la rivolta dei Comuni. Essi hanno ottenuto sia l’assoluta autonomia decisionale, sia l’attuazione delle norme d’impiego, sia l’entità delle aliquote applicabili. A questo punto tutto è stato rimesso in discussione. Così, sia i contribuenti, sia i Comuni, sia di conseguenza i Caf, si sono trovati prima di tutto, a oggi, a non sapere se si deve pagare “la prima casa”. In seconda istanza, quali sono le aliquote applicate dai Comuni (si parla di centinaia diverse) e la differenza dell’Imu praticata sulle seconde case, sui magazzini, sugli immobili agricoli, sui negozi, ecc.. Infine, se quanto versato in acconto era giusto e di conseguenza il calcolo del saldo.



In questa situazione, come si fa a pensare positivo o immaginare che qualcosa possa cambiare a breve? Non si può giocare ogni volta con le tasche degli italiani, contrabbandando delle leggi a proprio piacimento per farsi propaganda o per usare di queste come ricatti fra i vari partiti politici o pseudo maggioranze. Nello specifico, di queste vicende non se ne parla molto: ci si limita ai grandi titoloni sui giornali o piccoli accenni nei Tg. A questo punto, alle persone che pensano ancora con la loro testa, nasce spontanea una domanda: a chi giova questa infinita e sistematica confusione?

Siamo convinti che, soprattutto in questi ultimi anni, qualcuno abbia “ciurlato nel manico”; ormai neanche l’aforisma citato nel “Gattopardo” di Tommasi di Lampedusa “in Italia si vuole cambiare tutto per non cambiare niente”, ha più presa in un questo contesto sociale: si è arrivati al punto che i grandi poteri, insomma chi decide, hanno interesse a lasciare le cose come stanno in un’inerzia programmata per portare il Paese allo sfascio. Non si concede più alla gente comune nemmeno l’illusione che qualcosa muti.

Queste considerazioni non sono un inno alla “disobbedienza fiscale”: le tasse vanno pagate, in maniera proporzionale alla ricchezza e da tutti. Dire questo però non vuol dire accettare questa situazione di “terrorismo psicologico” da parte dello Stato nei confronti del cittadino. I nostri governanti, di qualsiasi colore siano, non hanno più l’intenzione, né hanno più la forza di operare, in una democrazia, in un reale servizio al popolo. Bisogna che tutti noi, da chi ha in mano il potere alla gente comune, come ci insegna anche il Papa, faccia un passo indietro e cerchi qualcosa di diverso dal proprio tornaconto e dal proprio egoismo: una sorta di “senso religioso” che ci aiuti a cambiare e a ricercare in questo contesto sociale, il vero “bene comune”.

 

(Andrea Lagravinese, Commercialista)