Il 2013 rischia di chiudersi nel modo peggiore possibile per il prestigio della nazione, in primo luogo in campo finanziario. Mi riferisco a quello scandalo istituzionale, economico, politico, culturale e morale che si sta svolgendo sotto gli occhi dei pochi spettatori che non si fanno offuscare la vista dal bombardamento mediatico sui forconi e su un pugno di studenti che tirano uova contro dei bei palazzi. Non che non ci si debba indignare e preoccupare, per carità. Ma ho il sospetto che si usi il dolore delle classi medie e degli infelici precari che corrono veloci fra le braccia di una nuova destra neonazista antieuropea per nascondere altri drammi del Paese.



Uno di questi drammi è la rete di connivenze, di opacità, di collusioni, di silenzi che sta dietro la sciagurata idea perseguita un tempo di privatizzare Bankitalia e oggi di valutare di quella privatizzazione il valore nominale. Primo tempo. Ci si accorge improvvisamente circa vent’anni dopo la privatizzazione delle ex banche pubbliche che detenevano con l’Inps e Generali il capitale di Bankitalia, che codesto capitale, salvo che per la piccola quota dell’Inps, è – udite, udite!- nelle mani di privati. Già questo ci fa capire in che mani siamo sia per quel che riguarda Bankitalia, sia per quel che riguarda il Paese tutto. Su un problema di questo genere, infatti, se privatizzare o no una banca centrale, ci sarebbe dovuto essere quanto meno un pubblico dibattito e solo da una logica argomentativa doveva discendere il verbo della privatizzazione.



Privatizzazione di cosa? Oggi con la Bce, soprattutto quando l’unione bancaria avrà effetto, Bankitalia non ha più alcun ruolo e anche quello statistico potrebbe benissimo essere assegnato all’Istat, snellendo di molto, con gradualità naturalmente, i nostri conti pubblici. I francesi, anch’essi fierissimi di avere la Banca centrale, sono però stati più accorti e le quote delle ex banche pubbliche sono oggi possedute da una Fondazione. Eh sì, perché il problema del patrimonio continua a rimanere. Non si volatilizza, che si privatizzi o che si pubblicizzi.

Secondo tempo. E valutarlo è un bel problema. Il comitato di esperti, a suo tempo nominato dal governatore Ignazio Visco, a valutarlo quel patrimonio ci ha impiegato non poco tempo, perché valutare una Banca centrale il cui valore è solo nozionale è questione di lana caprina ed è in definitiva sempre e soltanto una decisione politica. Volete una prova? Nel bilancio di Bankitalia, come ha ricordato tempo orsono molto bene Tito Boeri, è fissato a 156.000 euro. Tutti capiamo che è solo un valore simbolico, perché le banche che possiedono quote di quel capitale li hanno iscritti a valori molto differenti uno dall’altra. Si va dai 41,3 euro di Banca Carige a 13,781 per Bnl, a 5, 380 per Banca Intesa.



Quest’ultima è l’azionista principale con il 26,8% delle azioni suddivise originariamente in 360.000 quote di 0,52 euro ciascuna, ed è quindi protagonista essenziale del dramma o della farsa che stiamo vivendo. Se si moltiplicano i valori azionari scritti su valori di libro delle banche, giungiamo a una cifra nominale di circa un miliardo di euro. Si è scatenata una gara, visto gli incerti criteri che sottostanno a queste valutazioni, per rivalutare le quote attraverso collocamenti e ricollocamenti che potrebbero avvenire anche nel tempo e potrebbero investire oltre ai già esistenti possessori di quote (tra gli altri Generali e Mps), anche investitori stranieri, cosa ipotizzata dal ministro Saccomanni.

Ricordo che il ministro Saccomanni si era distinto mesi or sono per aver invocato la venuta in Italia delle shadow banks che dovevano così farla finita con il credit crunch che le banche esercitavano nei confronti delle imprese. Naturalmente chi, come me, teme le banche ombra, teme anche che un giorno o l’altro nell’assemblea di azionisti di Bankitalia si presentino dei fondi posseduti da Al Qaeda o dalla mafia internazionale. Ma il mio è un punto di vista certamente opinabile che non fa testo come invece fa l’opinione di un ministro che oltretutto proviene da Bankitalia.

Il problema però si disvela nella sua arcana ragione recondita allorquando scopriamo che qualora nel collocamento alcune quote rimanessero invendute a intervenire dovrebbe essere Bankitalia e che in ogni caso le banche che posseggono le quote si preparano a realizzare un ingente guadagno vedendo rivalutati i loro assets proprio quando si avvicinano gli stress test promossi dalla Bce. Che bell’aiuto per banche che sono sempre sulla linea del galleggiamento e del fallimento tecnico! Dopo i Tremonti Bond ecco arrivare la rivalutazione delle quote di Bankitalia.

Pensate che buona vendemmia per Intesa che e ha il 23,6% di quelle quote. Ci si rimpannuccia per bene. Ma non si crea forse in questo modo una terribile asimmetria competitiva a svantaggio delle altre banche che non possono godere di simili diavolerie perché di fatto non appartengono all’inner circle, ossia a quel circolo chiuso di amichetti della merenda veloce che ha oggi sostituito l’establishment? La Bundesbank non sì è fatta scappare l’occasione. Weidmann ci ha dato addosso picchiandoci in testa di santa ragione. E non gli si poteva dare torto, questa volta. Stiamo facendo in Europa, con questa operazione dilettantesca, una figura peregrina e terribile.

Proprio ora che c’è da rinegoziare il rinegoziabile e cambiar marcia per passare dall’austerità alla crescita, facciamo simili regali a degli incompetenti? Gli inglesi, gli irlandesi, gli islandesi, i belgi, i lussemburghesi sono stati più seri: piuttosto che fare queste figure le banche le hanno nazionalizzate, punendo i manager che le avevano portate al fallimento e non creando asimmetrie così scandalose sui mercati. Per questo finire in questo modo il 2013 mi sembra ben inglorioso.