«Se si vogliono sottoscrivere accordi con l’Europa del tipo “riforme contro incentivi” assai più dei dettagli tecnici delle singole scelte economiche conta la presenza di una chiara volontà politica. I partiti si devono impegnare a rispettare i patti nel medio lungo-termine, o la credibilità dell’Italia finirà ancora una volta per esserne minata». Ad affermarlo è Mario Deaglio, professore di Economia internazionale all’Università di Torino. Domani inizia il Consiglio europeo nel corso del quale si discuterà dei “Contratti per riforme strutturali incentivate” (Crsi), definiti anche “di riforme con solidarietà”. In Italia se ne è parlato poco perché i contenuti sono ancora in corso di definizione, ed Enzo Moavero Milanesi, ministro per gli Affari europei, sta seguendo personalmente la trattativa.



Professor Deaglio, a quali condizioni i Crsi possono rivelarsi vantaggiosi per l’Italia?

Il contratto di governo va bene se c’è un accordo di fondo, cioè se le forze politiche sono intenzionate a far durare effettivamente il governo per il tempo necessario almeno a rendere operativo il contratto e a gestirne le prime fasi. Se c’è questo accordo ha senso discutere i particolari economici, altrimenti continueremo a navigare a vista come si è sempre fatto in Italia. Sarebbe privo di senso siglare un accordo in apparenza buono, per poi trovare dei cavilli giuridici in modo da non rispettarlo. Una coalizione di governo è innanzitutto un atto politico: se c’è la volontà politica allora si può fare l’accordo, ma l’accordo in quanto tale non può sostituire la mancanza di volontà politica.



C’è il rischio che l’Italia sprechi l’opportunità del Consiglio Ue di domani nel cui contesto si discuterà dei contratti per le riforme?

Questo rischio esiste. Bisogna capire se c’è una maggioranza che vuole davvero stare insieme e fare quadrato fino al 2015, oppure se sono tutti giochi di parole e al fondo c’è una volontà debole che può essere facilmente deviata o bloccata.

Quindi i contratti per le riforme sono un problema innanzitutto politico e solo in seconda battuta economico?

Diciamo che la volontà politica è una precondizione perché si possa cominciare a parlare di economia. Del resto, basta seguire la cronaca politica per qualche ora, per comprendere che ogni atto di governo è sempre condizionato dai se e dai ma. È un eterno litigio e una continua differenza di opinioni, in cui non si riesce mai a raggiungere un accordo su quale sia la cosa essenziale da fare. Un partito della coalizione si è battuto fortemente per l’abolizione dell’Imu, creando uno scompenso nelle risorse disponibili per la riduzione del cuneo fiscale. Si intravede un’incertezza di fondo. A mancare sembra essere la ferma volontà politica di procedere davvero a riforme efficaci ma sicuramente scomode.



I contratti per le riforme sottraggono sovranità all’Italia?

Sicuramente la sottraggono, ma la riduzione delle sovranità nazionali è uno degli obiettivi dell’Unione. L’Italia è ormai, sotto molti aspetti, una regione dell’Europa e ha una responsabilità regionale. Non abbiamo più una moneta, che da un certo punto di vista è l’espressione massima dell’indipendenza, né, da decenni, una politica commerciale internazionale. È normale che l’Europa dia delle direttive ai Paesi membri sia mediante il Parlamento, sia mediante la Commissione. Per tutti i paesi, Germania compresa, gli ultimi due anni sono stati all’insegna della riduzione dell’ambito di sovranità dei governi nazionali in materia di bilancio.

 

Quali riforme ritiene che debbano avere la priorità?

Occorre valutare le conseguenze di ciascuna riforma, privilegiando quelle le cui ricadute occupazionali sono sopportabili e creano il minor disagio sociale. La riforma dell’amministrazione pubblica per esempio richiede dei tagli, e la politica si trova dunque di fronte a una scelta tra vari tipi di tagli. La razionalizzazione del servizio richiede una riduzione degli organici e l’investimento in macchinari moderni.

 

In che modo bisogna quindi intervenire?

Di fronte a tanti settori che hanno bisogno di riforme, bisogna privilegiare quelle in cui le sofferenze delle famiglie sono ridotte al minimo. Occorre valutare, amministrazione per amministrazione, l’impatto occupazionale considerando la vita lavorativa residua dei dipendenti e le possibilità effettive di trasferimento ad altre amministrazioni e vedere come possano essere attuati nel modo meno doloroso possibile. Queste riforme però non saranno una passeggiata anche se faranno risparmiare.

 

(Pietro Vernizzi)