«La presa di posizione chiara e trasparente di Draghi sull’Unione bancaria è ancora una volta agli antipodi rispetto alla linea del governo italiano, che ha tenuto il Parlamento e l’opinione pubblica all’oscuro dei contenuti reali della trattativa». Lo afferma Oscar Giannino, commentatore di Radio 24, dopo che il Wall Street Journal ha pubblicato una lettera riservata del ministro del’Economia, Fabrizio Saccomanni. “Sono convinto che non dobbiamo affrettarci per un’Unione bancaria difettosa ma che dobbiamo prenderci il tempo necessario per costruirne una che funzioni correttamente”, le parole del numero 1 del Dicastero dell’Economia.
Giannino, perché contrappone la strategia di Draghi a quella del governo italiano?
Devo rendere atto a Draghi di essere stato ancora una volta quello che ha parlato più chiaramente. Nel corso della sua audizione di lunedì al Parlamento europeo, ha sottolineato come il meccanismo di soluzione finanziaria di eventuali interventi di salvataggio deve essere contraddistinto da tempi rapidi. Con una sola formula, ha espresso un giudizio chiaro su una struttura Ue troppo barocca. C’è un periodo lungo nel quale i fondi restano a finanziamento nazionale, mentre manca un fondo di finanziamento Ue a disposizione degli interventi, così come un ruolo della Commissione Ue.
All’origine del problema ci sono i dubbi della Germania?
I tedeschi su questo preservano il principio che hanno sempre dichiarato esplicitamente, in base a cui risorse mutualizzate devono passare per i meccanismi dei Parlamenti nazionali. Draghi ha detto chiaramente che il meccanismo d’intervento di fronte a crisi bancarie che possono avvenire attraverso una precipitazione dei tempi ha bisogno di procedure più rapide. Queste ultime nel compromesso sull’Unione bancaria non ci sono.
Che cosa ne pensa invece della posizione del nostro governo?
Ciò che il governo italiano ha portato al tavolo sull’unione bancaria lo dobbiamo desumere da una serie di elementi di “seconda mano”. La lettera di Saccomanni all’Ecofin è stata pubblicata stanotte dal Wall Street Journal. Il governo ha ritenuto di non informare pubblicamente il Parlamento, l’opinione pubblica e i media italiani sulla sostanza delle sue obiezioni al compromesso sull’Unione bancaria. Tutti parlano di un presunto diverbio tra Saccomanni e il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble, ma ciò pone diversi interrogativi.
Quali?
Lo “scontro” tra l’Italia e la Germania potrebbe essere avvenuto perché il governo Letta ha chiesto un fondo centralizzato europeo come strumento di intervento delle crisi bancarie. Oppure all’origine potrebbe esserci un’obiezione al meccanismo di fondo scelto nel compromesso stesso. Quest’ultimo prevede infatti un bail-in alla cipriota, in base a cui i depositanti al di sopra dei 100mila euro e i creditori senior delle banche sono penalizzati. Sono domande alle quali non abbiamo risposte, ed è un errore che su temi così centrali il governo italiano ci tenga all’oscuro. Anche perché il fatto di rendere pubbliche le proprie posizioni aiuterebbe a costruire alleanze ai tavoli del Consiglio dei ministri europei.
Al di là del braccio di ferro tra Italia e Germania, lei che cosa ne pensa degli elementi concreti sui quali è aperto il confronto?
Il punto da chiarire è se nel compromesso sia stato confermato il principio in base a cui i depositanti e i creditori delle banche devono graduare la loro fiducia nei confronti degli istituti che operano nei paesi euro-deboli, incorporando il rischio sistemico Paese. Se così fosse, l’Ue non starebbe lavorando sulla strada volta a separare il rischio Paese da quello bancario. Al contrario queste due rischiosità finirebbero per sovrapporsi, e alla cattiva qualità degli asset patrimoniali di questa o quella banca nazionale noi dobbiamo sommare il rischio Paese sovrano.
Come valuta questa opzione?
È una strada che ritengo azzardata, in quanto non ritengo giusto che i depositanti e i creditori siano indotti a fidarsi ciecamente delle banche nella speranza che siano salvate dallo Stato. È giusto invece avere regole tali per cui il depositante e il creditore siano messi nelle condizioni di compiere un ragionamento realistico, chiedendosi a chi stanno dando i loro soldi, quanto è elevato il suo coefficiente patrimoniale, quanti sono i suoi asset pesati per il rischio e come si comporta di fronte ad affari rischiosi.
(Pietro Vernizzi)