All’Eba, l’Autorità bancaria europea, sentono il Natale. Sono frizzanti in questi giorni, frizzanti e iperattivi. Martedì, belli belli, hanno pubblicato un report dedicato allo stato di salute di 64 banche dell’eurozona, passate ai raggi x. E cosa ne è emerso? Luci e ombre. Primo, le maggiori banche europee hanno ulteriormente rafforzato le loro basi patrimoniali nell’ultimo anno e mezzo. Non lo dico io – che qualche dubbio al riguardo ce l’ho – ma proprio l’Eba nel suo “Transparency Exercise” in preparazione alla raccolta di dati preliminari, alla valutazione della qualità degli asset e agli stress test che verranno effettuati dalla Bce il prossimo anno. Nel dettaglio, negli ultimi 18 mesi gli istituti Ue hanno complessivamente raccolto 80 miliardi di euro di capitale e al tempo stesso hanno ridotto consistentemente le posizioni sulle attività ritenute più a rischio.
L’autorità europea responsabile della regolamentazione sulle banche ha quindi evidenziato che il coefficiente di patrimonializzazione (Core Tier 1) delle 64 banche di 21 paesi coinvolte nello studio si è rafforzato dal 10% delle attività totali all’11,7% attuale. Restano però alcuni nodi sensibili, tra cui – guarda caso – quello dell’esposizione ai titoli di Stato. L’esposizione netta delle banche europee al debito sovrano, calata del 9% nel 2011, è salita del 9,3% nei 18 mesi successivi. In Portogallo la quota del debito detenuta dalle banche nazionali ha raggiunto il 71% dal 54% di tre anni fa. Dei 199 miliardi di debito pubblico di Madrid nei portafogli delle 64 banche, gli istituti spagnoli lo scorso giugno detenevano l’89%, da confrontare con il 64% del dicembre 2010. Gli istituti italiani hanno ora il 71% di tutti i titoli pubblici italiani detenuti da banche, a fronte del 59% che si registrava a fine 2010. Il 99% dei 23 miliardi di euro di debito greco detenuto da banche europee è ora in mano a istituti ellenici, come dimostrano gli ultimi dati disponibili, quelli di giugno: un aumento spaventoso dal 67% del giugno 2010 e la riprova che ora Atene può essere lasciata al suo destino di default. Le banche cipriote detengono l’84% del debito dell’Isola, mentre quelle tedesche il 72% di quello del loro Paese, giù dal 76% del 2010. Per finire, le banche finlandesi detengono soltanto il 6% del debito nazionale.
Nel dettaglio degli istituti italiani, il Core tier di Ubi Banca al 30 giugno 2013 è al 12,1% contro il 10,3% di fine 2012, mentre l’esposizione lorda in titoli di Stato italiani è pari a 18,858 miliardi, di cui la maggior parte concentrati sulle scadenze fino a tre anni. Il Core tier di Banco Popolare risulta, sempre a fine giugno, stabile al 10,1% e l’esposizione in titoli di Stato italiani è pari a 16,58 miliardi, di cui la maggior parte concentrati sulle scadenze fino a due anni, mentre Unicredit ha un Core tier all’11,4% e un’esposizione lorda in titoli di Stato di 58,044 miliardi, di cui la maggior parte concentrati su scadenze fino a due anni. Per Steven Saywell, capo della divisione FX di Bnp Paribas, «i regolatori Ue hanno creato un loop per aiutare i governi a finanziare il loro debito ma si sono spinti oltre. Certo l’extra-liquidità ha aiutato a calmare i mercati, ma la vera crisi che abbiamo vissuto qui in Europa è quella legata all’obbligazionario sovrano».
Chi invece ha idee molto chiare è Bill Blain, broker sul reddito fisso alla Mint Partners, a detta del quale «gli investitori che guardino al mercato obbligazionario del Sud Europa devono essere avvertiti del rischio. Penso che la Bce darà vita a una nuova asta Ltro e opterà per tassi di interesse negativi sui depositi overnight presso l’Eurotower, in modo che le banche compreranno ancora debito e aumenteranno ancora il legame tra istituti di credito ed esposizione a economie fragili dell’area». Ma così non sarà, almeno nelle parole di molti esponenti della stessa Bce, i quali la scorsa settimana hanno detto chiaro e tondo che se ci sarà un altro Ltro sarà per finanziare il credito verso aziende e cittadini e non per comprare nuovo debito sovrano. Il quale, sempre per bocca di esponenti del Consiglio direttivo, non è affatto un investimento risk-free e come tale dovrebbe richiedere degli accantonamenti a bilancio per scontare eventuali perdite sulle esposizioni. Per Blain, la questione è differente: «Quelli ormai non sono più bond sovrani, sono bond emessi da entità sovrane legati a una valuta che quei paesi non controllano. Se le cose dovessero andare storte, pensiamo ad esempio al fatto che la Fed inizi davvero il “taper”, beh la crisi del debito sovrano tornerebbe in Europa ai livelli precedenti».
E cosa farà a quel punto la Bce? Per ora sappiamo due cose. Primo, un nuovo Ltro è pronto e Draghi non tarderà ad annunciarlo. Secondo, l’altro giorno – come dimostra il grafico più in basso – è fallita un’altra asta di sterilizzazione della Bce, dopo quella del 26 novembre. Brutto segnale? Forse. Ma partiamo da principio. Come sapete, la Bce acquista bond sovrani (a breve e media scadenza, massimo tre anni) e lo fa attraverso il principio della “sterilizzazione”. Che significa? Essenzialmente che l’istituto centrale non dovrà mettersi a stampare euro, lasciando, al contrario, invariata la massa monetaria in circolazione. Ovvero, la Bce utilizza una determinata somma di denaro per comprare le obbligazioni degli Stati che ne fanno richiesta allo scopo di calmare lo spread e l’impennata dei rendimenti, ma siccome questo implicherebbe l’aumento della moneta circolante – il fantasma inflazionistico di Weimar che non fa dormire la Bundesbank -, l’Eurotower interviene successivamente con un’operazione di senso opposto. Ovvero, drenando dal sistema una quantità di denaro equivalente.
In concreto la Bce raccoglie a breve termine il denaro richiesto che viene depositato dagli investitori presso la Bce a certo un tasso di interesse. Quindi, se la Bce decide di spendere 50 miliardi di euro per acquistare titoli sovrani, si dà per scontato che la stessa Banca centrale raccoglierà altri 50 miliardi dal sistema depositandoli nelle proprie casse. In questo modo, con un gioco a somma zero, la quantità di euro circolanti si mantiene fissa. A patto, ovviamente, che ci siano compratori. E non sempre accade.
La prima volta fu nel novembre del 2011, quando la Bce non riuscì a sterilizzare l’intera quantità di euro coinvolta nell’operazione e restarono sul terreno 9 miliardi, una cifra di per sé non enorme ma sufficiente a far cessare poi gli acquisti. Ma questi poi ricominciarono, di fatto ancora sotto l’ombrello del pur defunto programma Smp, visto che il neonato Omt non ha ancora legittimità legale e rischia di essere strozzato nella culla dalla Corte costituzionale tedesca. All’epoca, l’Europa era in pieno subbuglio – erano i giorni dell’addio di Berlusconi e dello spread a 575 punti base – e la Bce aveva appena annunciato le due aste Ltro: l’euro crollò e i titoli azionari pagarono un caro prezzo a quella mancata sterilizzazione. Il 26 novembre scorso accadde di nuovo e martedì è accaduto lo stesso, ma questa volta la Bce ha trovato soltanto 109 compratori per la sua asta di sterilizzazione settimanale su 184 miliardi di detenzioni del programma Smp, raccogliendo soltanto 152,3 miliardi e lasciando quindi sul terreno 32 miliardi di “buco”.
E il mercato? Quasi non si è accorto, preoccupato com’era per la possibile decisione della Fed di attivare il “taper” da qui a febbraio. Forse la mancata reazione era attesa, vista l’accelerazione dei pagamenti dei soldi ottenuti dalle banche con i primi due Ltro che ha portato al livello più basso da due anni a questa parte il contante in eccesso nell’eurosistema. Insomma, le banche si tengono stretto il denaro, tanto che in base a calcoli di Ifr, la liquidità in eccesso calerà dagli attuali 171,5 miliardi ai meno di 150 miliardi entro la fine dell’anno. O, forse, il mercato si attende altro: se la liquidità in eccesso nell’eurozona è così ridotta da tramutare in un problema trovare 184 miliardi di euro, magari stiamo per arrivare a un doppio bivio. Ovvero, nuovo Ltro tra pochissimo e forse la scelta rivoluzionaria e da scontro finale di Mario Draghi di procedere verso la monetizzazione non sterilizzata, ovvero acquisti che espandano la massa monetaria in stile Fed.
Quello di martedì è stato un segnale di pericolo o forse un test che la Bce ha voluto condurre per vedere la reazione del mercato al secondo fallimento di un’asta di sterilizzazione in meno di un mese? Se così fosse, tutto rientrerebbe nella logica di “Germania contro tutti” che ho prospettato nell’articolo di martedì e anche l’addio di Asmussen al Consiglio direttivo troverebbe maggior senso e maggiori implicazioni. Quando Mario Draghi sfoderò il bazooka, dicendo che avrebbe fatto qualsiasi cosa per salvare l’euro, lasciò intendere che la Bce era pronta ad acquisti illimitati di debito dei paesi in difficoltà, leggi Italia e Spagna, ma è la natura stessa degli acquisti sterilizzati a cozzare con questa volontà: questi interventi, infatti, non sono realmente illimitati, poiché condizionati alla capacità della Banca centrale stessa di sterilizzarli in pieno. Inoltre, il drenaggio di liquidità finisce per danneggiare un sistema economico che già fatica a reperire credito, che ha una massa monetaria M3 che cresce ben al di sotto del ritmo previsto dalla Bce e che vede il meccanismo di trasmissione del credito nell’eurozona completamente grippato, con le piccole e medie imprese di Italia, Spagna, Portogallo e Grecia che muoiono come mosche a causa di questa discrasia.
Siamo a un punto di svolta, penso. Anche perché è di ieri la notizia che – a dispetto dello spread artificialmente ai minimi – il tasso di sofferenze bancarie in Spagna ha toccato il nuovo record del 13% di tutti i prestiti in essere, livello in crescita da otto mesi di fila. E le cose non potranno che peggiorare, visto che la richiesta della Banca di Spagna a tutti gli istituti per una revisione dei loro portafogli sta facendo emergere la realtà: soltanto per Banco Santander il tasso di default su prestiti è salito al 7% dal 3,1% precedente dovuto al maquillage contabile, il tutto proprio a seguito della riclassificazione dei prestiti che ha rifinanziato e che non verranno mai ripagati. E con supervisione e stress test alle porte, c’è ben poco da ridere, visto che al netto dei 5 miliardi di accantonamenti necessari in previsione di shortfall, ora emerge con chiarezza che fin dall’esplosione della bolla immobiliare del 2008, gli istituti iberici hanno dato vita a rifinanziamenti di massa per coprire le sofferenze sui mutui immobiliari. Ora il giochino è finito e i prezzi degli immobili sono previsti in calo anche nel 2014, un combinato letale.
Adesso, quindi, l’azzardo si fa davvero grande: forse Mario Draghi sa che il “taper” sta arrivando e si prepara davvero a usare il bazooka per evitare uno tsunami nella periferia dell’eurozona. La domanda è: la Germania glielo permetterà?
P.S:. C’è da dire che se dal punto di vista economico l’Ue langue, da quello della politica estera fa davvero pietà. Con un blitz senza precedenti, infatti, martedì scorso Vladimir Putin ha riconquistato l’Ucraina. Come? Gazprom venderà all’Ucraina 1000 metri cubi di gas naturale al prezzo di 268,50 dollari contro i precedenti 400 e il fondo sovrano russo acquisterà bond ucraini denominati in dollari per 15 miliardi tra la fine di quest’anno e il prossimo. La signora Ashton non pare pervenuta. Amici ucraini, date retta a me: vi è andata bene. Restate con Mosca.