D’ora in avanti, sarà sempre più difficile che una banca fallisca. Ma, se proprio dovesse fallire, non lo farà più a danno dei correntisti, né rischiando di produrre esiziali effetti a catena sul sistema economico. L’Ecofin ha approvato il meccanismo unico di risoluzione, introducendo la mutualizzazione delle perdite in casi di crisi bancarie. Se le cose dovessero mettersi particolarmente male, non saranno più gli Stati a dover intervenire ma un unico fondo, nel quale, a regime – cioè tra dieci anni – saranno confluite le risorse dei singoli fondi nazionali, attualmente non ancora presenti in tutti i Paesi Ue. Roberto Mazzotta, presidente dell’Istituto Luigi Sturzo, ci spiega la portata della decisione europea.
C’è da essere soddisfatti?
Direi, tutto sommato, di sì. D’altra parte, individuare uno strumento che eviti i fallimenti bancari è assolutamente necessario per scongiurare i fallimenti degli Stati.
Ci spieghi.
Oggi la stabilità delle banche è strettamente collegata alla capacità di collocamento dei debiti degli Stati. Questo perché i portafogli bancari sono pieni di debiti sovrani e, in particolare, di quelli del proprio Stato. Insomma, la connessione è esplosiva e, specialmente dopo gli errori compiuti in Grecia, ci si è resi conto che il rischio di insolvenza dello Stato mette fortemente a repentaglio la sopravvivenza degli istituti bancari e viceversa.
Quindi?
Quindi l’Europa avrebbe dovuto, semplicemente, affermare che tutti i debiti denominati in euro sono garantiti e avrebbe dovuto farlo da tempo. Ciò avrebbe significato risolvere la questione a monte. L’operazione di mutualizzazione delle garanzie bancarie, invece, rappresenta una manutenzione a valle. Tuttavia, resta pur sempre un importantissimo passo in avanti verso il necessario consolidamento dei pilastri dell’unione bancaria.
Che pilastri?
La vigilanza unica europea, la disciplina unica delle risoluzioni e la garanzia per i correntisti (attualmente per i depositi sotto i 100mila euro). Con la recente decisione dell’Ecofin, si è quindi affrontato il secondo pilastro, anche se evidentemente non in maniera risolutiva.
Perché no?
Il fondo ha una dotazione di 50 miliardi di euro, troppo poco, e procedure farraginose. In ogni caso, sono stati affermati due fondamentali principi. Il primo: in Europa non si fanno salvataggi a spese dei cittadini. Se una banca europea apre una procedura fallimentare, a pagare per primi saranno gli azionisti, seguiti dagli obbligazionisti e dai correntisti con depositi sopra i 100mila euro. Se questo non dovesse bastare, interverrà il fondo. Se neanche il fondo fosse sufficiente, allora entrerà in gioco (anche se le procedure, nel dettaglio, sono ancora da stabilirsi) l’European Stability Mechanism, ovvero il Fondo salva-Stati.
Ci dica il secondo principio.
Con la messa in campo dell’Esm, per la prima volta, si è affermata in Europa l’idea della responsabilità collettiva dell’Unione. Si incomincia, quindi, a intravedere una sorta di solidarietà europea.
Come sarà finanziato il fondo europeo?
Tutte le banche, ogni anno, accantoneranno una quota che sarà destinata ai fondi, che inizialmente saranno nazionali. Una sorta di tassa, pagata di tasca propria, con risorse prelevate dal conto economico.
In Italia, cosa cambia?
Nulla, direi. In Italia, il fondo di garanzia interbancaria esiste già da 25 anni. Gli stessi criteri che le ho descritto e che da noi già sono applicati, saranno estesi a tutti quei paesi europei che ancora non hanno un fondo analogo. Per il momento, quindi, i fondi restano nazionali, ma la disciplina diventa da subito unitaria.
(Paolo Nessi)