L’edilizia del futuro nel nostro paese? Non dobbiamo pensare a nuove cementificazioni. Gli esperti concordano che le direzioni verso cui andare sono due: riqualificazione e messa in sicurezza del territorio. Rifacimento urbanistico delle zone degradate ed obsolete dal punto di vista costruttivo, miglioramento architettonico dei centri urbani piccoli e grandi, delle zone artigianali, industriali e direzionali e sgombero da ogni costruzione delle zone a rischio idro-geologico: questo dovrà essere il ruolo dell’edilizia.



Migliorare e mettere in sicurezza cosa? E come? In questo primo articolo propongo alcune note per rispondere alla prima domanda in un momento nel quale parecchie regioni stanno riapprovando e prolungando le loro leggi sul Piano Casa, ideato dal governo Berlusconi. Solo poche regioni inoltre hanno finora approvato specifiche norme per incentivare la riqualificazione urbana in attuazione al Decreto Sviluppo (art.5 del DM 70/2011).



Migliorare cosa? Di certo gli ambiti e le periferie degradate. Gli edifici non più rispondenti alle normative sulla sicurezza statica dovranno essere adeguati in funzione della zona o microzona sismica in cui si situano. Ma anche quelli realizzati con materiali insalubri, progettualmente inadeguati o brutti dovranno essere abbattuti e ricostruiti nello stesso sito, o in altro luogo se si tratta di costruzioni in zone golenali, improprie dal punto di vista idraulico, o lungo assi ferroviari o stradali a traffico sostenuto. Una certa priorità va poi data agli interventi sugli immobili pubblici e a quelli dismessi.



Va detto però che le legislazioni citate e quelle regionali, che hanno previsto i cosiddetti premi volumetrici, sono state utilizzate quasi esclusivamente da proprietari di edifici unifamiliari o di interi immobili. Il patrimonio abitativo dell’Italia, infatti, diversamente da quello di altri paesi, è caratterizzato da una proprietà immobiliare molto frazionata. Per questo il Piano Casa e la norma del Decreto Sviluppo non hanno potuto trovare applicazione nei condomini a proprietà mista e nelle aree urbane degradate.

Ad esempio i palazzoni di via Anelli a Padova, di cui tanto si sono occupati i media qualche anno fa, con tutto il loro degrado, anche se da tempo sgomberati dai loro abitanti, sono ancora tranquillamente in piedi.

Senza intervenire drasticamente su tanti edifici datati ed obsoleti disseminati nei quartieri delle nostre città e senza l’abbattimento di certi “mostri” e l’eliminazione dei “ghetti”, esito di speculazioni edilizie o di progettazioni ideologiche, non si potranno di certo raggiungere i risultati che ci sono chiesti dall’Unione Europea in materia di utilizzo di fonti rinnovabili, di contenimento dei consumi energetici e delle emissioni inquinanti e blocco del consumo di suolo e neppure migliorare la qualità dei nostri quartieri.

Neppure le ulteriori maggiorazioni dei premi volumetrici, le nuove esenzioni dagli oneri di urbanizzazione, l’obbligo ai Comuni, a scapito della loro stessa autonomia, di rispettare pedissequamente le nuove legislazioni, potranno superare i limiti del Piano Casa e del Decreto Sviluppo, sopra evidenziati.

Ma perché se la direzione di sviluppo è la riqualificazione, si continua con l’espansione edilizia, pur frenata dalla crisi e dal dimezzamento delle compravendite, con il conseguente aumento dei settori di città sottoutilizzati, piuttosto che con gli interventi di rigenerazione urbana? E perché è così difficile mettere in sicurezza il territorio? Ciò deriva soprattutto dall’inadeguatezza della legislazione urbanistica e di quella sul regime dei suoli. Per liberare con un’azione celere ed efficace le zone a rischio idro-geologico serve una legislazione caratterizzata da un’impronta sussidiaria tale da coinvolgere attivamente e positivamente le popolazioni e le realtà imprenditoriali locali.

Ma con questo stiamo già entrando nella seconda domanda che ci siamo posti: come migliorare. Ne parleremo nel prossimo articolo.

 

(1- continua)