Assediato dalla crisi e dalla pressione dei media, il Governo ha dovuto finalmente prendere atto, con estremo ritardo, che esiste un’Italia delle rendite, della loro sperequazione, e dell’impunità del loro abuso che affossa e demotiva l’Italia produttiva. Basta ricordare i recenti articoli di stampa di falsi invalidi o di studenti autocertificati poveri, che frequentano con fuoriserie fiammanti le Università. Così invece di anticipare i problemi li si rincorre, e prontamente si legifera sulla revisione dell’ISEE. Forse un piccolo passo verso l’equità sociale, ma non certamente sufficiente.



Abbiamo già ricordato su queste pagine le ingiustizie generazionali e i partiti delle rendite. Privilegi concessi in anni di vacche grasse – di cambiali venute all’incasso – a carico oggi dell’attuale generazione e di quelle future. Privilegi concessi e di cui un’Italia, allegramente diseducata all’etica e al bene comune, ha ampiamente usufruito con arroganza e impunità.



Ne è un esempio l’articolo 32 della Costituzione, il diritto alla salute, che invitiamo il lettore a rileggere e memorizzare: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Chi sono quindi gli indigenti? Nel dizionario della lingua italiana Treccani indigente è definito una persona poverissima, priva delle cose più necessarie alla vita. Ma la spesa sanitaria italiana – in eterno deficit – è aperta ai bizantinismi delle soglie del ticket e alla sua modulazione, ancorata unicamente ad autocertificazioni del reddito del nucleo familiare. E così diventa indigente chi autodichiara falsamente redditi esigui, non esistendo controlli, ovvero chi ha un patrimonio mobiliare e redditi con ritenuta definitiva, a prescindere dal valore del capitale e del patrimonio accumulato.



Che fare dunque? Ci permettiamo un suggerimento e un invito al Governo. Inserire in dichiarazione dei redditi un ulteriore quadro che potremmo definire “reddito ai fini sanitari”, aggiungendo al reddito imponibile anche tutti i redditi di capitale al netto delle ritenute subite, ovvero un coefficiente equalizzatore del patrimonio, sia immobiliare che mobiliare. Predetto quadro poi, certificato e sottoscritto dal professionista abilitato all’invio della dichiarazione dei redditi o dal CAF, diventerebbe il documento obbligatorio da esibire per l’applicazione del ticket. Le esenzioni dal ticket – a nostro avviso – sia per la spesa farmaceutica che ospedaliera sarebbero sicuramente inferiori alle attuali.

Una semplice riforma nella direzione della giustizia sociale, qui delineata, determinerebbe un risparmio della spesa pubblica: si separerebbero gli indigenti veri da quelli falsi, e si rispetterebbe il principio ispiratore del dettato costituzionale. Le risorse così risparmiate, potrebbero invece essere destinate alla riduzione del cuneo fiscale o alle finalità di cui all’articolo 31 della Costituzione: “La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia…”: senza famiglia infatti non c’è futuro.

Il nuove ISEE in conclusione non è sufficiente, bisogna agire e incidere nella direzione dell’equità. Se andate sul sito del ministero delle Finanze e analizzate i dati statistici delle ultime dichiarazioni degli italiani dell’anno 2011 troverete molte sorprese. Ve ne segnalo una: gli italiani che dichiarano tra i 1.000 e 1.500 euro di reddito all’anno sono 656.958. Di questi 35.805 hanno oneri detraibili per spese sanitarie di 610 euro l’anno, 6.679 deducono interessi passivi, per mutui prima casa, mediamente per euro 1.700; 17.362 contribuenti riescono comunque a spendere 580 euro per l’assicurazione sulla vita e, complessivamente, la categoria evidenzia 51.898 contribuenti pari all’8%, che ha dedotto mediamente 930 annui dichiarandone non più 1.500. L’Italia è veramente un grande Paese dei miracoli.