Una rivoluzione generazionale simile a quella resistenziale. Letta, nel suo discorso di fine anno, ha orgogliosamente fatto questo riferimento preciso alla trasformazione in atto nei partiti italiani. Conferma le ipotesi di coloro che credono, come chi scrive, che la base delle istituzioni poliarchiche moderne siano i partiti e che solo l’azione di questi possa portare ai cambiamenti istituzionali dello Stato e non viceversa. Il riferimento alla Resistenza è stato benefico e non può farci cadere nella funerea ironia di ricordare che le altre due rivoluzioni generazionali italiane siano state il fascismo e il ‘68, entrambe disastrose, diversamente disastrose, per la nazione.
Così è rassicurante l’affermazione lettiana di essere e di voler essere un leader politico, sempre politico e non tecnico, fugando ogni dubbio sul peso relativo altrettanto funesto dei componenti tecnici del suo governo, che sino a oggi sono stati di una performance disastrosa. Ma qui inizia la discrasia tra un programma molto positivo se rimane nell’indeterminatezza e una realtà assai più composita e poco rassicurante. Vediamo.
È positiva l’affermazione che tutto sarà fatto per l’occupazione e il lavoro, destinando a esso i risultati della spending review – ahimè affidata a un tecnico e non al corpo politico -, quindi finalizzata alla diminuzione delle tasse sul lavoro. Ma l’occupazione si genera con gli investimenti e qui vi è stato nella conferenza un nicodemismo che è frutto di una debolezza cognitiva tipica del Letta che ha provocato disastrose privatizzazioni negli anni Novanta del Novecento senza mai farsi un’autocritica al riguardo, accompagnato da quel Bersani che ha sgomentato tutti recentemente per la sua inadeguatezza precipuamente politica.
Luci e ombre. Luci che si accendono quando si fa riferimento alle proposte sul lavoro enunciate da Renzi e ci si pronuncia favorevolmente al riguardo (contratto unico proteso all’apprendistato e al rapporto a tempo indeterminato eliminando la legge Fornero), provocando un’esplicita dichiarazione di appoggio di Raffaele Bonanni di cui non possiamo che rallegrarci. E si potrebbe continuare con le rassicuranti parole in merito al progetto europeo di lotta ai populismi. Ma ecco qui le ombre, che in realtà sono contraddizioni analitiche che possono essere molto gravi se si tradurranno in decisioni allorché si dovrà guidare il semestre europeo
L’endorsement dedicato alla Germania della grande coalizione a guida Merkel è suonato veramente fuori luogo. Non si può firmare una cambiale in bianco con un progetto quale quello tedesco che non si discosta anche da parte socialdemocratica neppure di un ette dalle politiche sino a oggi seguite. Avremmo voluto sentire propositi di trasformazione delle istituzioni europee come il peso maggiore – compulsivo e non consultivo – da dare al Parlamento europeo azzerando lo strapotere di una Commissione che castra ogni proposito di rinnovamento.
La parola d’ordine che abbiamo condiviso anche da queste pagine sulla proposta di Prodi di agire congiuntamente con Francia, Spagna e Portogallo per riformare la Bce e rovesciarne la politica deflattiva: ecco ciò che avremmo voluto ascoltare. Neppure una parola invece sulle buone notizie che giungono dagli Usa e che segnalano come politiche di stimolo neokeynesiano siano l’unica uscita possibile dalla crisi, unitamente a una più decisa politica di detassazione.
Anche alla riforma della magistratura – senza la quale non torneremo allo stato di diritto e all’attrattività di investimenti esteri pesanti in Italia – non si è fatto cenno. Un Premier, quindi, che è bene in sella in quanto a fiducia e a ritrovata stabilità. Rinfrancante. Ma non rassicurante e in grado di prospettare una cambiamento di marcia.
Tempi duri, dunque, al di là di un giovanilismo che avremmo voluto colmato da propositi più culturalmente fondati nella direzione della ricostruzione della nazione per riformare l’Europa in senso solidale, che è ciò che oggi si richiede. Senza di questo anche le riforme istituzionali non potranno ottenere quell’appoggio popolare di cui necessitano e solo con una nuova e coraggiosa politica del e per il lavoro quell’appoggio si può raggiungere, unificando lavoro dipendente e classi medie in una strategia di riforme. Ma quali riforme? Quelle volute dalle troike tecnocratiche o quelle il cui profilo ci giunge dagli Usa?
Presidente, su questo avremmo voluto udire una Sua parola. E senza chiarezza su questo tema il futuro può essere gonfio di conseguenze tragiche. Buon Natale.