Ieri la Federal Reserve statunitense ha compiuto cento anni, un anniversario da celebrare, ma avendo già scritto la scorsa settimana cosa penso di quella pantomima patetica che è il “taper” cui si è dato avvio, ho pensato di dare un taglio un po’ diverso alla mia celebrazione della Fed. Nel fine settimana, infatti, un amico mi ha girato il passo di un libro che aveva trovato interessante e, dopo averlo letto, più di una domanda ha cominciato a serpeggiarmi nella mente. Voglio condividerlo con voi, tradotto dall’inglese.
«Le potenze del capitalismo finanziario avevano anche un obiettivo di lungo termine, niente meno che creare un sistema mondiale di controllo finanziario in mani private capace di dominare il sistema politico di ogni nazione e l’economia del mondo come un tutt’uno. Questo sistema doveva essere controllato con modalità feudale delle banche centrali del mondo agendo di concerto, attraverso accordi segreti sanciti in incontri frequenti e conferenze. L’apice di questo sistema era la Banca per i regolamenti internazionali a Basilea, in Svizzera, una banca privata di proprietà e sotto il controllo delle banche centrali mondiali, le quali sono esse stesse istituzioni private. Ogni banca centrale punta a dominare il suo governo attraverso la capacità di controllare i prestiti sui titoli di Stato, di manipolare le valute estere, di influenzare il livello di attività economica del Paese e di condizionare politici cooperativi e compiacenti attraverso ricompense economiche nel mondo del business».
Impressionante, non vi pare? La realtà che stiamo vivendo, nel mondo come in Italia, tratteggiata in poche righe. Ma c’è qualcosa che vi impressionerà ancora di più, ovvero l’anno in cui queste parole sono state scritte. Questa descrizione di un nuovo ordine mondiale asservito al capitalismo finanziario, ovvero un mondo senza più sovranità nazionali ma solo economiche ed eterodirette, è stata estrapolata dal libro “Tragedia e speranza. Una storia del mondo nel nostro tempo” scritto da Carroll Quigley nel 1966. Avete letto bene, quasi cinquanta anni fa.
E chi era Carroll Quigley, scomparso nel 1977? È stato uno dei padri della globalizzazione, anzi forse il padre più nobile e lucido, definendosi esso stesso – in enorme anticipo sulla rivoluzione clintoniana – un “globalista”. Ma soprattutto, il buon Quigley era un membro molto influente del Council on Foreign Relations, un’associazione privata statunitense e globale, apartitica, composta soprattutto da uomini d’affari e leader politici che studiano i problemi globali e giocano un ruolo chiave nella definizione della politica estera degli Usa e della geopolitica e geofinanza mondiale. È stato fondato nel 1921, a seguito della riunione nel maggio 1919 all’Hotel Majestic di Parigi tra un certo numero di personalità britanniche e americane, delegate alla Conferenza di pace. Questa riunione segnò il punto di partenza per la successiva costituzione sia del “Royal Institute of International Affairs” (RIIA), sia del suo omologo americano, il “Council on Foreign Relations” (CFR), il quale ha sedi a New York e Washington e attualmente può contare su circa 1400 membri.
Nell’Harper’s magazine del luglio del 1958 si trova un articolo intitolato “School for statesman” (scuola per statisti), scritto da Joseph Craft, membro del CFR, che identifica il Colonnello americano Edward Mandell House come uno dei fondatori del gruppo. Nello stesso articolo Craft afferma che membri del CFR sono anche grandi banchieri americani, rettori universitari, direttori giornalistici, direttori delle fondazioni Ford, Rockfeller, i presidenti americani Hoover, Eisenhower, Johnson e Nixon, i segretari di stato americani Edward Reilly Stettinius, Dean Acheson, John Foster Dulles, Christian Archibald Herter e Dean Rusk. Insomma, non esattamente un gruppo vacanze Piemonte.
Dunque, la Fed – essendo la banca centrale più potente al mondo – era destinata fin dalla seconda metà degli anni Sessanta a un ruolo egemone per portare a termine il progetto globalista, ovvero rendere sempre più asserviti i governi al suo potere da dettare essa stessa l’agenda politica? Vale lo stesso per la Bce? Restiamo un attimo in ambito Fed, anche soltanto perché si tratta della festeggiata. Nel suo saggio “The case against the Fed”, l’economista americano di scuola austriaca, Murray N. Rothbard, descrive così la banca centrale Usa: «L’operazione più segreta e meno riconducibile al governo federale non è, come ci si potrebbe aspettare, la Cia, la Dia, o qualche altra agenzia di intelligence super-segreta. La Cia e le altre operazioni di intelligence sono sotto il controllo del Congresso. Sono in qualche modo riconducibili a qualcuno: una commissione del Congresso supervisiona queste operazioni, controlla i loro bilanci ed è informata delle loro attività segrete. È vero che le audizioni e le attività della commissione sono chiuse al pubblico; ma almeno i rappresentanti del popolo al Congresso assicurano una qualche riconducibilità per queste agenzie segrete… È poco noto, tuttavia, che esiste un’agenzia federale che supera le altre in segretezza. Il Federal Reserve System non è riconducibile a nessuno; non ha un budget; non è soggetto a nessun controllo; e nessuna commissione del Congresso conosce le sue operazioni, o le può davvero supervisionare. La Federal Reserve, praticamente in totale controllo del sistema monetario della nazione, non deve rendere conto a nessuno e questa strana situazione, quando riconosciuta, è sempre sbandierata come una virtù… Cominciamo a intravedere il motivo per cui è sempre stato importante per la Fed, e per le altre banche centrali, investirsi di un’aura di solennità e di mistero. Infatti, come vedremo più dettagliatamente, se la popolazione sapesse ciò che sta succedendo, se fosse in grado di strappare la tenda che copre l’imperscrutabile Mago di Oz, scoprirebbe ben presto che la Fed, lungi dall’essere la soluzione indispensabile al problema dell’inflazione, è essa stessa il cuore del problema».
Ora, che un liberale puro con Rothbard abbia in odio la Fed non è cosa che debba stupire più di tanto, ma il cuore del problema è: le banche centrali, Fed in testa, anche grazie a questa crisi sono oggi il potere principale a livello politico ed economico? A mio avviso, sì. Cosa sarebbe oggi Wall Street senza la Fed e la sua liquidità? Dove sarebbero i tassi dei Treasuries e quindi il cuore stesso del sistema immobiliare dei mutui, già massacrato dai subprime? Cosa sarebbe l’America senza gli stop-and-go della Fed sul “taper”, capaci di livellare tassi e far sgonfiare e rigonfiare – evitando l’esplosione – la bolla di liquidità? Temo sarebbe un Paese schiantato dalla più colossale crisi finanziaria dal 1929, superata – un eufemismo, vista l’economia reale e le sue grida di dolore – creando la più grossa bolla speculativa e di credito della storia. E, di fatto, rendendo il Congresso poco più che un’appendice, cui far recitare melodrammi a soggetto come quello dello “shutdown” o del “debt ceiling”, pantomime che tornano ciclicamente.
La leva del comando è nelle mani della Fed. Badate bene, non era così al tempo di Alan Greenspan, lo sta diventando ora, grazie a questa crisi che ha reso tutti – finanza, economia, politica – dipendenti dalla Fed e dalle sue azioni. Se la Fed vuole crolla tutto, se non vuole gonfia bolle come bambini durante una festa e fa sfondare a Wall Street un record dopo l’altro, visto che comunque i suoi “azionisti di maggioranza” grazie a quei record e a quella liquidità fuori controllo, macinano soldi su soldi su soldi.
(1- continua)