Qualcosa scricchiola in Cina. Anzi, più esattamente nel sistema bancario cinese, affamato di liquidità e in pieno credit crunch. La Banca centrale di Pechino l’altro giorno è infatti intervenuta con quello che nelle sale trading è stato subito ribattezzato “un-taper”, iniettando nel sistema finanziario 29 miliardi di renminbi (4,8 miliardi di dollari) in quella che è stata la prima operazione di finanziamento market-wide in tre settimane. A obbligare questa mossa di stimolo il tasso interbancario salito nei giorni scorsi al 9%, segnale chiaro di mancanza di fiducia tra i vari istituti e di volontà degli stessi di immobilizzare più liquidità possibile: la settimana precedente, infatti, il tasso era a poco più del 4%. Fino ad allora, la Banca centrale aveva fornito liquidità ad hoc alle varie banche che ne avevano più bisogno, ma non era mai intervenuta con operazioni open-market, nei fatti un canale di approvvigionamento per il sistema finanziario più incisivo e trasparente. Martedì mattina, poi, la decisione: accordo repo da 29 miliardi di renminbi a sette giorni.
Dopo la Fed, la Bank of Japan, la Bank of England, ora anche la Banca centrale cinese stampa. E che la mossa sia stata strategica lo testimonia l’annuncio dell’operazione, fatto dieci minuti prima dell’orario solito e in grado così di influenzare positivamente la Borsa, con lo Shanghai Composite che ha aperto le contrattazioni in rialzo dello 0,3%. Non un bel segnale, comunque, visto che questa crisi del credito – la seconda in sei mesi – evidenzia i sempre crescenti rischi che corre la seconda economia mondiale, la quale cresce sì di circa l’8% all’anno, ma che si basa sempre più sul debito e che vede il governo impegnato in un piano di riforme che potrebbe rivelarsi una medicina molto amara per un sistema sempre più dipendente dal capitale a basso costo. Questi stress creditizi ci dicono da un lato che il deleverage del debito è cominciato, ma anche che il processo sarà lungo e doloroso.
La Banca centrale cinese, notoriamente improntata alla contrazione delle condizioni monetarie, non può però permettersi picchi simili sul tasso interbancario: non a caso ha offerto il denaro al 4,1%, lo stesso livello medio precedente al picco. La liquidità è tradizionalmente molto limitata in Cina a fine anno, sia per la richiesta di cash che arriva dal segmento corporate, sia per la volontà delle banche di far salire la voce depositi a bilancio per ottemperare alle richieste dei regolatori, una voce questa sempre di maggior peso per gli istituti vista l’enorme concorrenza posta in essere dal cosiddetto sistema bancario ombra, ovvero istituzioni para-bancarie che offrono rendimenti più alti della media ai depositanti. Ma c’è qualcosa di più grosso sotto quanto sta accadendo, visto che poche ore dopo l’operazione della Banca centrale, il repo a sette giorni ha toccato il 9% dopo essere rimasto fermo al 5,5% durante l’iniezione di liquidità (150 punti base sopra la media del periodo), dimostrando chiaramente che a beneficiare dell’operazione siano state solo le grandi banche, con quelle più piccole – e più bisognose di liquidità – rimaste a bocca asciutta.
Insomma, c’è qualcosa di più sotto: ovvero, il fatto che la volontà del governo cinese di aprire a un mercato più liberale e meno controllato produrrà inevitabilmente degli shock. Anche più forti di questi, poiché mercati finanziari sotto il controllo governativo producono instabilità, bolle sul mercato della proprietà, prestiti ad alto costo, sovra-capacità eccessiva e alti livelli di debito privato e governativo locale. Se la Cina però deciderà di voler perseguire il suo obiettivo di crescita limitata ma con limitate turbolenze, a pagare il conto potranno essere tutti i paesi emergenti già all’inizio del prossimo anno, dato che rischiano un calo anche del 10% del valore delle proprie borse. Con un credito cresciuto al 220% del Pil cinese, a Pechino c’è il potenziale per una trappola del debito nelle società industriali che potrebbe scatenare una crisi finanziaria entro febbraio-marzo.
Con le debite differenze e proporzioni, rivedo la crisi della Russia nel 1998. Sarà infatti interessante vedere se i governanti cinesi intenderanno intraprendere lo stesso duro cammino verso una forte economia liberale che ha seguito la Russia dal 1999 all’autunno 2003. Per ora non c’è indicazione che siano preparati a farlo davvero, mentre i problemi nel sistema economico e finanziario continuano a crescere e peggiorare. Potremmo andare incontro, nei prossimi anni, alla prospettiva di un’economia cinese che rischia di crescere meno del 5% all’anno.
Il resto del mondo riuscirà a trainare la ripresa, stante l’attuale debolezza e senza una dinamo come Pechino?