È un titolo davvero fuorviante quello con cui il Sole24ore, ieri, ha riferito della relazione della Corte dei Conti sul 5 per mille. Come si può infatti definire un “flop” un dispositivo fiscale che con il passare degli anni ha raccolto un consenso sempre più ampio da parte dei contribuenti? Che nell’ultima edizione ha toccato il record di 17 milioni di firme? Evidentemente “flop” non è la parola adeguata, e non rispetta neppure il senso delle osservazioni che la Corte dei Conti ha fatto e che erano state anticipate il 5 dicembre scorso dal sito vita.it. Se flop c’è stato è da parte dello Stato e delle forze politiche che non hanno raccolto il messaggio dei contribuenti, lasciando il 5 per mille in un limbo di incertezza
La Corte infatti lanciava soprattutto un messaggio: che quei difetti che il 5 per mille ha evidenziato in questi anni hanno una causa nel fatto che la legge, nonostante le tante promesse bipartisan, non è mai stata stabilizzata, determinando così confusione e un continuo cambio delle regole. Tra gli effetti più clamorosi di questa inadempienza da parte del legislatore c’è il fatto che imponendo ogni anno un tetto, il 5 per mille, alla fine, non era più un 5, semmai un 4 per mille. Nella sua relazione, la Corte mette all’indice il Governo nella gestione di questo strumento di fiscalità sussidiaria, ribadendo fra l’altro come dal 2006 al 2011 la differenza fra importo attribuito dai contribuenti (2.528.413.826,21) e importo liquidabile (2.330.590.361,67) a causa delle “limitate disponibilità finanziarie” (con cui si è motivata la necessità di mettere un tetto) sia stata pari a quasi 200 milioni di euro in 6 annualità. Una violazione delle indicazioni dei contribuenti che la Corte definisce grave. Infatti lo Stato nella dichiarazione dei redditi chiede ai cittadini di mettere una firma rispetto a una cifra che poi non viene rispettata dallo Stato stesso. E poi ci si chiede come mai i cittadini abbiano perso qualsiasi fiducia nei meccanismi fiscali…
Il 5 per mille, seppure sempre riproposto a partire dall’esercizio finanziario 2006, ha conservato carattere provvisorio ed è subordinato, ogni anno, a un’espressa previsione legislativa. L’instabilità e la frammentarietà della disciplina non agevolano la programmazione delle attività degli enti che ne beneficiano; infatti, l’assenza di certezza non permette di assicurare il finanziamento di progetti con entrate regolari e costanti. Al contrario, sarebbe essenziale la previsione di una certa regolarità, anno per anno, nell’assegnazione dei fondi, per dare sicurezza agli enti che vivono, talora anche prevalentemente, di contributi volontari.
La Corte dei Conti si sofferma anche su molte altre correzioni che bisognerebbe apportare al 5 per mille. Sono osservazioni a volte giuste, a volte dettate da una scarsa conoscenza del mondo del privato sociale in Italia. Ma è chiaro che sono tutte osservazioni di cui tener conto nel momento in cui si metterà a punto finalmente la legge di stabilizzazione. Questa è la questione madre: è il ritardo accumulato il vero flop. Quanto al 5 per mille, nonostante le tante traversie, è stato un successo straordinario, un caso scuola di applicazione della sussidiarietà fiscale.