Con la “Asset quality review” della Bce arriverà il redde rationem. Diversamente da quanto si pensasse, infatti, i titoli sovrani in pancia alle banche non saranno considerati “risk off”, ovvero privi di rischio. Mario Draghi, finora, non ha infatti bloccato la proposta di alcuni membri dell’Esbr, l’autorità per i rischi sistemici, di prevedere una valutazione del rischio superiore a zero per i titoli di Stato detenuti dalle banche. Ovvero, obbligare le banche ad accantonamenti di capitale in relazione ai titoli di Stato che detengono a bilancio. Ne parlavamo già un paio di settimane fa, quando la proposta fu rilanciata dal Financial Times on-line.
Come vi dicevo negli articoli che ho dedicato al sempre crescente peso delle banche centrali nel sistema finanziari globale, a detta di molti il centro massimo del progetto sarebbe la Banca per i regolamenti internazionali con sede in Svizzera. Bene, nel suo ultimo “Quarterly Bulletin”, dopo un lungo studio sull’andamento del rischio nel mondo, la Bri ha infilato un box di due paginette dal titolo “Il trattamento del rischio sovrano nello schema di regolamentazione patrimoniale di Basilea”. Sapete come inizia? «È stato talvolta affermato che lo schema di regolamentazione patrimoniale di Basilea prescrive una ponderazione di rischio pari a zero per le esposizioni delle banche nei confronti dei soggetti sovrani. Tale affermazione non è corretta». E qui arriviamo alla doppia rivoluzione che ci attende. E ci attende domani, non certo tra mille anni.
La clausola risk-free sui bond sovrani dell’Unione, infatti, ha avuto negli anni una valenza che possiamo definire “protezionistica”: evitare che le banche finanziassero solo debito sicuro, ovvero paesi forti garantiti dal rating. La scelta, però, di applicarla a tutti gli Stati dell’Ue e non soltanto a quelli che avevano adottato l’euro, ha provocato l’effetto opposto: ha azzerato il rischio per qualunque titolo di Stato dell’Unione. Tale regime vige ancora, essendo stato confermato anche da Basilea III e, soprattutto, dalla Quarta direttiva sui requisiti patrimoniali (CRD IV), approvata nel giugno scorso e che entrerà in vigore nel gennaio 2014, cioè praticamente domani. Ma proprio quest’ultima ha introdotto una novità importante. L’articolo 114 del regolamento, infatti, conferma un coefficiente di ponderazione pari a zero per le esposizioni verso la Bce (comma 3) e verso le banche centrali e i bond delle amministrazioni centrali emessi in valuta nazionale (comma 4). Quindi, se una banca rumena è esposta verso titoli di Stato rumeni, questi titoli saranno considerati a rischio zero.
Il comma 5, però, cambia le regole del gioco per gli altri bond. Quest’ultimo, infatti, dispone che fino al 2017 varrà la vecchia regola di un coefficiente zero per qualunque bond sovrano dell’Ue, quindi anche diverso da quello emesso in valuta nazionale – una banca rumena avrà rischio zero anche per un titolo spagnolo o tedesco – ma nei successivi tre anni questa regola cambierà. Per i titoli di un altro Stato europeo, emessi in valuta diversa da quella nazionale, le banche acquirenti dovranno iniziare a ponderare i rischi. Quindi, tornando al nostro esempio, se una banca rumena comprerà un titolo tedesco o spagnolo, dal 2018 in poi dovrà aumentare il capitale di vigilanza.
Ecco la doppia funzione ottenuta: da un lato, la messa in discussione da parte della Bri del concetto generale di risk free presta il fianco alle velleità tedesche di ottenere in sede di stress test una ponderazione non esente da rischi sui bond sovrani detenuti (mettendo a rischio le nostre banche ma anche quelle spagnole, greche e portoghesi) e scatenare nuove turbolenze che impongano da un lato nuovi aiuti ma anche nuove regole, altro che la troika. Dall’altro lato, quel piccolo comma 5 diviene un ricatto bello e buono – voi, se preferite, chiamatelo incentivo – a entrare nell’eurozona per quei paesi che fanno parte dell’Ue ma non hanno ancora adottato l’euro, poiché si renderà sostanzialmente più caro per le banche dell’eurozona detenere titoli di altri Stati extra-euro e viceversa.
I bond sovrani denominati in euro, infatti, rimarranno a rischio zero, mentre quelli Ue ma extra-euro verranno di fatto assimilati a bond sovrani esteri. Unione allargata e unione bancaria, il tutto ottenuto attraverso regolamenti e commi di cui noi poveri mortali non sappiamo praticamente nulla. Ora, cosa pensate che accadrà se questa linea venisse confermata, ovvero richiedere da subito una ponderazione e non più lo status risk-free per il debito sovrano detenuto dagli istituti?
Temo un altro 2011, ovvero un violento scossone sullo spread nostro e spagnolo, esattamente come quando l’Ue decise che l’Eba valutasse i titoli di Stato al loro valore di mercato e non più a quello nominale di rimborso. Quale lezione hanno imparato le banche italiane da quel precedente? Hanno evitato di caricarsi di titoli di Stato? Hanno creato accantonamenti, i cosiddetti buffers? No, come abbiamo visto: hanno continuato a comprare e ora viaggiano sopra quota 450 miliardi di controvalore nei bilanci.
Certo, in quest’ultimo periodo, grazie al rendimento in ribasso e al prezzo in rialzo, stanno vendendo per monetizzare e abbellire i bilanci in vista degli stress test, ma lo fanno solo per un motivo: la calma sui mercati che garantisce inflows di capitali, ovvero compratori – anche stranieri – che ritengono ancora un buon investimento Btp e Bonos. Ma se la calma finisse? La sola Mps, la quale già rischia di vedere bocciato il piano di aumento di capitale da 2,5 miliardi (bocciatura che significherebbe nazionalizzazione), ha in pancia 29 miliardi di titoli di Stato italiani.
Capite perché, ampliando un po’ il quadro, la vendita del portafoglio crediti da Unicredit a Cerberus vada letta sotto una luce differente? Sono le banche – centrali e non – a scrivere la storia, non la politica o gli uomini.
(2- fine)