Probabilmente, ci ha particolarmente in antipatia. Olli Rehn, vicepresidente della Commissione europea, nonché responsabile per gli affari economici, interpellato da Repubblica, ci ha fatto sapere che, benché il governo sia animato da buone intenzioni, lui resta scettico. «Io ho il preciso dovere – ha detto – di restare scettico, fino a prova del contrario. In particolare per quanto riguarda i proventi delle privatizzazioni e i loro effetti sul bilancio del 2014». All’intervistatore che gli ha fatto notare che, finora, abbiamo dato prova di saper rispettare gli impegni, tenendo i conti in ordine, ha risposto che sì, siamo rimasti sotto il tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil. Ma di talmente poco, lo 0,1%, che neanche vale la pena parlarne. «È per questo motivo che l’Italia non ha margini di manovra e non potrà invocare la clausola». Insomma, serve ancora più austerità e rigore. Nel frattempo, il presidente Napolitano, al termine dell’incontro con il presidente della Repubblica di Croazia, ha fatto presente che, invece, l’Europa deve cambiare rotta, e puntare su crescita e sviluppo. Neanche la risposta di Enrico Letta al Commissario europeo si è fatta attendere: «da Commissario Ue deve essere garante dei trattati europei» e in tale contesto «la parola scetticismo non c’è». Poi, ha aggiunto: «Dico che i nostri conti sono in ordine e solo l’Italia e la Germania hanno da tre anni il Pil sotto il 3%o». Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze.
Cosa pensa delle affermazioni di Olli Rehn?
Francamente, si è dimostrato un presuntuoso, dalla preparazione inadeguata. Abbiamo dei problemi, certo, ma non sono quelli di cui ha parlato lui.
Quali sono i nostri problemi?
Anzitutto, abbiamo un problema di crescita, aggravato, indubbiamente, dalla deflazione, della quale, in buona parte, è responsabile l’Europa (anche perché non ha un Commissario adeguato). Altra cosa che non dice è che la flessibilità dei cambi, impossibile in Europa, può essere supplita dalla flessibilità nei contratti di lavoro. Essa, infatti, determina un rimbalzo nel commercio estero tale per cui la crescita riprende. È ciò che, per esempio, è accaduto in Spagna. In Italia, ciò si verifica in misura estremamente ridotta. In sostanza, in paesi come la Germania, a parità di ore lavorate, la produzione è decisamente più alta. Da noi, tuttavia, queste difficoltà hanno almeno una dozzina di anni.
Rehn si è particolarmente soffermato sul fatto che siamo sotto il tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil solamente dello 0,1%.
Appunto. A fronte del fatto che dovrebbe essere preoccupato perché non cresciamo, per lui il problema è quello 0,1%. In economia, un ragionamento sullo 0,1% non ha alcun senso. Tanto più che non vi è ragione per cui non dovremmo continuare a restare sotto la soglia, come abbiamo dimostrato finora di saper fare.
Perché, secondo lei, per Olli Rehn è così importante?
Non è un economista e sta semplicemente perseguendo una strategia politica rozza: attacca l’Italia perché è l’anello debole del sud (la Spagna, infatti, più o meno sta riuscendo a cavarsela, mentre la Grecia, ormai, è un rottame e, in quanto tale, galleggerà). L’operazione gli consente di soddisfare l’opinione pubblica del Nord Europa (del resto vuol candidarsi alle elezioni finlandesi), concedendole un capro espiatorio che giustifichi la debolissima crescita di tutta l’Eurozona.
Cosa ne pensa della risposta di Letta?
Letta, quantomeno, dimostra di non recarsi in Europa con l’inginocchiatoio. Tuttavia, avrebbe probabilmente fatto meglio a rispondere anche che l’Italia ha seguito esattamente le direttive dell’Unione europea che, evidentemente, non sono quelle giuste. Pur restando nel limiti dei parametri di Maastricht, infatti, continuiamo a non crescere. Lo stesso ragionamento, vale per Napolitano. Al quale, tuttavia, va riconosciuto il merito di aver puntato l’attenzione su ciò che realmente conta, ovvero la crescita e lo sviluppo.
Lei che ricette suggerisce?
Dovremmo smantellare strutture arcaiche e corporative nel sistema, per esempio, dei contratti del lavoro o delle regolamentazione del lavoro; tali strutture sono costituite da modulistiche eccessive che ci costano parecchio in termini di incombenze. I tedeschi avevano un sistema simile al nostro. Hanno guadagnato competitività allentandolo.
(Paolo Nessi)