La discussione su quale sarà il futuro configurarsi della macchina dei partiti e quindi quale sarà il nuovo equilibrio del governo del Presidente (perché questa è la sostanza costituzionale dell’assetto di governo) è francamente miserrima. Per la sua bassezza analitica, per la mancanza di visione. È stato così anche nelle trattative per il governo di coalizione tedesco: non una parola sull’Europa, non uno scatto analitico, è stata una discussione tra bottegai (ch’io amo e rispetto quando fanno i bottegai e non le donne e gli uomini di governo).



Manca la consapevolezza della drammaticità del momento. La drammaticità viene dalle viscere italiche, certo, ma è l’Europa che sta decadendo. In primo luogo internazionalmente, con la comprovata divisione che le guerre inter-islamiche stanno disvelando appieno con la terribile rottura transatlantica tra Regno Unito e Usa a cui non può far rimedio la grandeur francese, sì beneficamente imperiale, ma senza idee e senza risorse.



Dopo il fallimento reso manifesto non riuscendo a impedire le guerre balcaniche genocidiarie, quelle golfo-nord africane mettono veramente in scacco l’Europa. Ora la partita è ancora più rischiosa perché gli Usa sono in un grave impasse culturale e strategica e si dimostrano incapaci di esercitare un’egemonia (non un dominio, per carità, non son più i tempi!) mondiale. E senza tale egemonia il mondo è malato. In ogni caso essi rimangono ancora l’ineludibile punto di riferimento di qualsivoglia sistema dei pesi e delle rilevanze a livello internazionale.

I recenti topici avvenimenti dell’accordo sulla Siria sono un passo innanzi verso la ridefinizione del rapporto con la Russia e la recente trattativa con l’Iran sul nucleare, che segna i primi successi nella dispersione delle tensioni verso Teheran, ridefinisce l’equilibrio di potenza nell’area cruciale del patrimonio energetico e spirituale mondiale. Ma le aumenta pericolosamente, quelle tensioni, nei confronti della cuspide del mondo sunnita rappresentata dall’Arabia Saudita, che per protesta verso gli Usa ha rifiutato di sedersi sul seggio di osservatore temporaneo nel consiglio di Sicurezza dell’Onu: un fatto di incredibile gravità e tensione nei rapporti con l’assetto di potenza nordamericano. E simili e gravissime tensioni si aprono inevitabilmente con Israele, sempre più tentato da una guerra preventiva.



Il segno essenziale di questi avvenimenti, nessuno l’ha notato, è il ritorno a un unilateralismo che pareva abbandonato. Gli Usa non potevano non trattare da lungo tempo con la Russia sulla Siria, così come da lungo tempo non potevano non trattare con l’Iran, il tutto cortocircuitando gli europei, immediatamente declassati sul piano internazionale. Nel mentre gli Usa si confrontano con una forza sinora inusitata con la Cina per sostenere il loro sistema di alleanze asiatiche fondate sul riarmo giapponese.

Tale unilateralismo si coniugherà con un continuo anche se lento distacco dall’Europa? Questo è l’interrogativo drammatico di questi anni. È all’ombra cupa di questo interrogativo che si gioca il futuro di un’Europa che sprofonda nei nazionalismi. In questo contesto la crisi economica europea acquista una dimensione drammatica. Infatti, l’Europa sta decadendo economicamente. L’austerità inizia ad avere conseguenze simili a quelle di una guerra perduta.

La distruzione del patrimonio industriale europeo continua e non è bilanciato dalla tenuta (tenuta, si badi, non crescita) del complesso manifatturiero tedesco. E anche sul fronte dei servizi siamo fermi, in un contesto di margini calanti. Per questo anziché dell’austerità abbiamo bisogno del contrario: di un Piano Marshall per l’Europa che interrompa la spirale deflazionistica e riformi la Bce rendendola simile alla Fed nordamericana, ridando fiato agli investimenti, tanto privati quanto pubblici, smontando il Trattato di Maastricht e i vincoli pazzeschi e da incoscienti che ne derivano.

Restiamo nell’euro, certo, ma in un contesto istituzionale riformato. Questo è il primo compito del governo: rinegoziare i trattati di Maastricht e dar vita un neokeynesismo europeo. La meccanica dei partiti deve venir dopo il programma, Renzi o non Renzi, Berlusconi o non Berlusconi. E questo perché i partiti ormai sono aggregati personali neo-caciquistiche

L’unico modo per ritornare alla politica, di governo o non, è ritornare ai programmi, alle idee. Senza questa contezza si profonda nell’austerità. Per questo è essenziale ottenere l’aiuto diplomatico degli Usa. Saccomanni è partito per quelle lande: speriamo che ne torni ben orientato e trasformato. Mario Draghi è pronto ad agire. La Germania non andrà lontano. Smettiamo di discutere di un punto di Iva, diminuendola, e usciamo dalla servitù che una stolida austerità ci ha imposto. Chi vivrà vedrà. Tutto il resto verrà dopo.