Per l’Europa si aggira lo spettro sinistro dei “contratti bilaterali”, ovvero dei contractual arrangements con Bruxelles. In sostanza, gli Stati contraenti si impegnerebbero e realizzare le riforme chieste dall’Ue in cambio di non meglio identificati «meccanismi di solidarietà». Il governo italiano, inizialmente contrario all’ipotesi, ha modificato la propria impostazione. Enrico Letta si è detto disponibile a discuterne, anticipando alcune condizioni: gli accordi dovranno essere sottoscritti esclusivamente su base volontaria, i vincoli non dovranno essere rigidi e le misure di solidarietà concrete. Buoni propositi che cozzano con alcune circostanze di fatto: la Germania ha posto il veto sugli Eurobond, mentre appare del tutto improbabile che se un Paese arriva al punto di invocare degli aiuti possa esercitare la volontarietà della propria azione contrattuale. Si intravede all’orizzonte il rischio di commissariamento? Lo abbiamo chiesto a Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano.
Rischiamo di cedere ulteriori quote di sovranità?
Vede, il problema è che un‘attenzione ravvicinata da parte del Fondo monetario internazionale è già agli atti ufficiali. In un documento del 6 settembre 2013, sottoscritto da una delegazione del Fmi stesso, dai ministri Fabrizio Saccomanni e Anna Maria Cancellieri e dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, si indicano con grande precisione una serie di linee di condotta auspicate per l’Italia; tali linee sono state successivamente tradotte in formulazione legislative dal ministero dell’Economia nell’ambito della legge di stabilità.
Siamo già commissariati?
Non proprio. Diciamo che devo presumere dalle indicazione sui contratti bilaterali che stanno emergendo, che quanto abbiamo fatto ancora non sia ritenuto sufficiente e che si preannunci un’ulteriore richiesta all’Italia di manovre recessive. Si dà il caso, tuttavia, che il nostro Paese abbia già pagato un costo elevatissimo per rispondere alla richieste di stabilità di Bruxelles. Basti pensare che, tra il 2008 e il 2012, l’Italia ha visto ridurre i propri consumi di 50 miliardi.
Questo che significa?
Che, assieme alla Spagna (40 miliardi di riduzione) è il Paese che ha sofferto di più; in Germania, invece, i consumi sono cresciuti di 86 miliardi di euro, mentre in Francia quasi di 50. È evidente che se saremo obbligati a insistere con politiche di austerità così tenaci, saranno traditi i più elementari principi di solidarietà che, fin dall’inizio, hanno caratterizzato la creazione dell’Unione Europa. In sintesi, tali ipotesi di accordo sono molto preoccupanti.
Siglare questi accordi potrebbe comportare ancora più austerità?
Direi di sì. Ora, dato che nel 2015 dovrebbe entrare il Fiscal compact (una follia pura) e dal momento che abbiamo inserito nella nostra Costituzione la regola d’oro del pareggio di bilancio, i rischi di un ulteriore riduzione del perimetro della nostra economica sono elevatissimi. L’avere introdotto un (quasi) vincolo di bilancio (saldo strutturale) nella nostra Costituzione va contro ogni logica economica. Tentativi analoghi sono già stati rigettati con vaste opinioni bipartisan negli Stati Uniti, ma evidentemente c’è chi, a Bruxelles, ritiene che per l’Europa valgano regole diverse.
Perché Letta si presta a questo gioco?
Nelle giusta stigmatizzazione delle affermazioni di Olli Rehn da parte di Enrico Letta, è contenuta la risposta di un presidente del Consiglio che, nell’Europa, continua a crederci ma che, implicitamente, vuol mettere in guardia dai rischi che comporta continuare su una strada del genere. Detto questo, mi pare che Letta agisca con una certa dose di prudenza. Sa bene che il cammino di crescita e di sviluppo nazionale non può prescindere, nei fatti, da una forma di solidarietà europea, salvo tornare ad una fase pre-Maastricht. Sa anche, come tutti gli osservatori stranieri, che il caso italiano non è marginale. Le ripercussioni di un nostro declino sarebbero mondiali.
Oltretutto, la Germania ha escluso meccanismi di solidarietà realmente efficaci, quali gli eurobond.
Appunto. Se Bruxelles e la Germania riescono a far passare il principio secondo il quale i grandi Paesi del sud non starebbero “facendo i loro compiti”, aumenterà il rischio che, per fare le cose giuste, sarà troppo tardi. Esattamente come è accaduto in Grecia nel 2010, quando la situazione era ancora sanabile in maniera intelligente, ma ha finito per diventare una mina per tutta l’Europa.
Marchionne, in tal senso, si è detto convinto che l’Italia dovrebbe scegliere che modello di sviluppo adottare: se quello tedesco o quello americano, propendendo, evidentemente, per il secondo.
Il modello americano non funziona affatto così bene. Specialmente dal punto di vista dell’Europa, il cui primo obiettivo dovrebbe essere (ma purtroppo non è) il lavoro e la riduzione della disoccupazione.
(Paolo Nessi)