Dunque, cosa farà oggi Mario Draghi? Cosa annuncerà: un taglio ulteriore dei tassi, magari di 15 punti base, oppure tassi negativi sui depositi bancari? O, ancora, una manovra di stimolo non convenzionale, leggi un’asta Ltro? Difficile prevederlo, di certo c’è soltanto che qualcosa deve fare, perché l’Europa del Sud sta scivolando a grandi passi verso una spirale deflazionista in stile giapponese che potrebbe concretizzarsi già all’inizio del nuovo anno. Sono due i dati che ce lo confermano, già anticipati la scorsa settimana: il crollo della crescita della creazione di massa monetaria e la contrazione record dei prestiti alle imprese nel mese di ottobre.
Non si scappa: una creazione di massa monetaria M3 all’1,4% anno su anno non è solo un livello ben al di sotto delle previsioni della Bce, ma molto, molto al di sotto del target della stessa Banca centrale al fine di mantenere l’economia a un livello accettabile, ovvero il 4,5%. Lo so, a prestare troppa attenzione alla massa M3 – ovvero, sostanzialmente, cash più una larga parte di conti bancari – si viene tacciati di monetarismo, ma non mi interessa: nella maggior parte dei casi passati, quando questo indicatore segnalava pericolo per un’economia, quel pericolo si è concretizzato al più tardi un anno dopo. Tim Congdon dell’International Monetary Research non ha dubbi: «C’è una grande nuvola nera che incombe sul 2014 dell’eurozona e questo significa che le ratio di debito dei paesi del sud sono a grande rischio di esplosione».
E, infatti, se i prestiti alle aziende non finanziarie si sono contratti del 3,7% nell’eurozona, il gap tra Nord e Sud si divarica sempre maggiormente, con il dato italiano che registra una contrazione del 5,7%, quello portoghese del 6,6% e quello spagnolo addirittura del 19,3%. Siamo quindi di fronte al combinato congiunto tra rottura del meccanismo di trasmissione del credito all’interno dell’eurozona e congelamento del mercato interbancario, il tutto a fronte di un periodo di inflazione molto bassa, come già annunciato la scorsa settimana da Mario Draghi. Stagnazione. Pericolosissima. Tanto che Lars Christensen di Danske Bank non usa toni diplomatici: «La Bce deve portare i tassi a zero e lanciare un piano di quantitative easing per stimolare l’inflazione. Pensiamo all’Italia, il problema del debito può solo peggiorare e di molto se lasciano precipitare il Pil nominale, puntando verso ulteriore austerity». E qui, mi dispiace, subentrano anche le responsabilità dei cosiddetti regolatori, ovvero i burocrati alla Olli Rehn – complimenti per la sua sparata dell’altro giorno, a freddo, contro il nostro Paese, un lavoro da vero sicario su commissione – i quali hanno peggiorato drasticamente la situazione obbligando le banche ad alzare i buffer di capitale troppo in fretta, costringendole a scaricare assets e di fatto distruggere denaro.
Pensavano, nelle loro testoline, di aiutare il malato: l’hanno praticamente mandato in coma. Per soddisfare i requisiti di Basilea III e l’asset review della Bce, le banche europee nel 2014 andranno incontro a shortfall di capitale di 280 miliardi di euro: come dire, fino al 2015 nessun banchiere che sappia fare due conti e conosca il mondo dei mercati allargherà mai i cordoni della borsa. Anzi, deleverage ulteriore. Tanto più che i prestiti in sofferenza delle banche italiane toccheranno il picco nel 2014, ma la loro discesa sarà molto lenta a causa della fragilità dell’economia del Paese.
Non lo dice il sottoscritto, ma è il monito lanciato l’altro giorno da Fitch, che ha assegnato un outlook negativo al settore del credito italiano per il terzo anno consecutivo. «Le banche sono vulnerabili in particolare alla debolezza dell’economia interna», spiegava l’agenzia di rating, la quale si aspetta una crescita del Pil italiano il prossimo anno, ma la ripresa sarà probabilmente lenta e debole rispetto alla media dell’Eurozona.
«La qualità del credito e i volumi dei prestiti scontano gli effetti della recessione», aggiungeva Fitch, secondo cui il principale rischio per la qualità degli asset delle banche italiane deriva dall’esposizione alle piccole e medie imprese, un settore particolarmente vulnerabile nel contesto di una prolungata recessione. Di conseguenza l’anno prossimo alcune banche italiane di piccole e medie dimensioni potrebbero essere a rischio di deficit di capitale in occasione della revisione della qualità degli attivi e degli stress test della Banca centrale europea: potrebbero anche non soddisfare le richieste di standard di patrimonializzazione più elevati. Inoltre, visto che la redditività operativa delle banche italiane resterà sotto pressione, Fitch non si aspetta una riduzione del livello di titoli di Stato italiani nei portafogli delle banche nel 2014.
Il mancato aumento degli impieghi dovrebbe comunque contribuire alla stabilità della liquidità e del funding che strutturalmente beneficia di una robusta base di clientela retail: in parole povere, ciò che vi dicevo prima, ovvero cordoni ancora chiusi e tanti saluti all’economia reale. Ma attenzione, tira davvero brutta aria sul comparto bancario e – di conseguenza – su quello del debito sovrano, strettamente correlati soprattutto nei Paesi cosiddetti periferici. Come vi dico da mesi, nulla sarà più come prima e Cipro non è stato affatto un caso unico ed emergenziale, non resterà un unicum, bensì un qualcosa che farà scuola. A confermarlo, non in una chiacchierata informale ma durante il convegno “Future of Banking in Europe” dell’altro giorno, il ministro delle Finanze irlandese, Michael Noonan, il quale ha detto chiaro e tondo che in futuro, nell’eurozona, per salvare le banche in difficoltà verrà attuata la confisca dei risparmi depositati, attraverso prelievi forzosi e congelamenti dei conti.
D’altronde, tutti gli strumenti legali per mettere in atto queste misure estreme sono contenuti e spiegati nel Meccanismo di Risoluzione Unica, la risoluzione per il salvataggio delle banche che è stata posta in essere a giugno di quest’anno durante il Consiglio europeo presieduto proprio dall’Irlanda e ratificata anche dall’Italia. Insomma, c’è poco da scherzare. Anche perché stiamo per assistere a una serie di default sovrani che rischiano di innescare reazioni a catena. La Slovenia è ormai al limite e l’Ucraina che in molti vedono come avamposto politico della lotta tra Europa e nuova influenza russa, altro non è che un tavolo da Black Jack a cui stanno scommettendo i grandi player.
Le banche russe sono esposte all’Ucraina per 30 miliardi di dollari, una bella cifra visto che il Core Tier 1 congiunto di quegli istituti è di 105 miliardi di dollari, ultimo dato disponibile quello di giugno: al netto del voler estendere il suo potere di influenza, Putin deve pensare anche a questo e quindi non mollerà di un centimetro. Il cds a 5 anni dell’Ucraina ha sfondato i 100 punti base, il massimo da tre anni a questa parte e il Paese ha riserve estere soltanto per 20 miliardi di dollari, ovvero meno di due mesi e mezzo di finanziamento dell’import: con il Fondo monetario internazionale che quasi certamente non concederà prestiti fino alle elezioni del 2015 e l’Ue che per ovvi motivi non andrà incontro al governo di Yanucovich, Russia e Cina restano le uniche speranze per Kiev. E con il 35% di tutti i prestiti bancari concessi dalle banche locali ritenuti a rischio, l’economia del Paese appare alle soglie del tracollo.
Direte voi, quando la voglia di libertà chiama, non si può fermare la storia. Verissimo. Si può però fare in modo che le esigenze del business e quelle della storia combacino, visto che nessuno vi dirà che da quando sono iniziate le proteste – e stiamo parlando di settembre, non dell’altro giorno – il fondo Franklin Resources ha aumentato di 1,4 miliardi la sua scommessa sul debito ucraino, portando l’esposizione a 6 miliardi di dollari, il 40% di tutte le securities ucraine denominate in biglietti verdi. Insomma, investitori di grande livello hanno comprato durante la sell-off, tanto che si sono precipitati ad acquistare quando lo yield della note ucraina era al 19%, il bond peggio performante tra quelli dei mercati emergenti denominati in dollari.
Incapaci? Gente che ama buttar via i soldi? No, gente che scommette comprando a poco e vendendo a moltissimo, visto che quando si toccherà il punto di non ritorno qualcuno – Russia, Cina, magari l’Ue, visto che dopo quelle russe le banche più esposte nel Paese sono quelle austriache – metterà mano al portafoglio per salvare l’Ucraina, trasformando di nuovo quei bonds in affari lucrosi. Geofinanza allo stato puro, altro che seconda rivoluzione arancione.
Attenzione, temo che febbraio sarà il mese del grosso crash, ma nel frattempo non mancheranno le avvisaglie, soprattutto per l’Italia. Parlo di Mps ma non solo, parlo dei timori per una sempre più probabile richiesta di accantonamenti extra per le nostre banche in vista di svalutazioni sui bond sovrani detenuti, parlo di un attacco in grande stile che trasformi le minacce mafiose – avete letto bene, parlare di scetticismo significa usare un linguaggio mafioso – di Olli Rehn in pretesto per “coprirsi” dal rischio Italia. A meno che la Bce oggi non impugni il bazooka, questa volta davvero però. Serve, insomma, capire che la regolamentazione pro-ciclica posta in essere per le banche non ha fatto altro che ammazzare quel poco di ripresa che si poteva stimolare attraverso la creazione e concessione di credito. Le nostre banche sono a rischio, già oggi, serve proteggerle. Ma il tempo sta davvero scadendo.