«Anziché deprimere i consumi con l’aumento dell’Iva, bisognerebbe rimodulare le aliquote Irpef estendendo l’area imponibile. Chi supera i 2mila euro netti di stipendio al mese, passa dal 27% al 38%. Questa iper-progressività uccide la crescita castigando ingiustamente la classe media». Lo afferma Oscar Giannino, giornalista economico, dopo che i dati diffusi dal ministero dell’Economia hanno rivelato una flessione del gettito Iva pari al 3,9% nei primi dieci mesi del 2013, che equivale a un mancato introito da 3,4 miliardi. L’aliquota Iva era passata dal 20% al 21% nel settembre 2011 e dal 21% al 22% nell’ottobre scorso.



Giannino, come legge questo dato alla luce dei recenti aggravi dell’aliquota Iva?

In un mercato dove il reddito disponibile, che è il pilastro della domanda interna e quindi dei consumi, è in forte compressione, lo Stato può pensare di aumentare l’aliquota ordinaria Iva per preservare i saldi, ma in realtà si trova poi a dovere fare i conti con un gettito che diminuisce. La Ragioneria del Tesoro lo sapeva fin dall’inizio, tanto è vero che per sostenere comunque il gettito ha inventato aumenti concorrenti di aliquote di altre imposte.



Come valuta questa scelta?

La politica italiana ha delle responsabilità precise. Il Pil pro capite del nostro Paese nel 2012, rispetto al periodo precedente alla crisi, è diminuito del 6,5% e il reddito disponibile è calato del 9,4%. Questa è l’amara dimostrazione del fatto che questi effetti si devono alle politiche nazionali seguite in Italia.

Non è lo stesso che è avvenuto negli altri Paesi euro-deboli?

No. Nello stesso periodo la Spagna che ha avuto crisi molto più gravi della nostra, con tanto di bolle immobiliare e bancaria, ha avuto un aumento del Pil pro capite del 2,8%. L’intensità della crisi in Italia, che pure non è stata gravata da esplosioni del debito come nel caso della Spagna, è stata molto più intensa. La scelta di basare le nostre politiche economiche su un incremento delle tasse ha creato degli effetti depressivi molto più intensi che negli altri Paesi. Siamo gli unici ad avere aumentato contemporaneamente le imposte dirette, indirette e patrimoniali.



Quali scelte ha adottato invece il governo spagnolo?

Ha scelto di graduare maggiormente gli aggravi di piccola impresa e grandi gruppi, per preservare le aziende meno solide. Altri Paesi hanno utilizzato la leva del contenimento della spesa al contrario di quanto si è fatto invece in Italia. Nel frattempo la lotta all’evasione fiscale ha fruttato 5,8 miliardi.

 

Questo fenomeno è la causa o la conseguenza della pressione fiscale troppo elevata?

Negli ultimi anni sono stati messi a bilancio 11-12 miliardi l’anno per la lotta all’evasione. Ma i contribuenti italiani non hanno mai visto una restituzione di una quota di queste somme sotto forma di alleggerimento fiscale, malgrado tutte le volte che destra e sinistra hanno promesso di farlo. La lotta all’evasione non ha un effetto di attenuazione della crisi della domanda interna, perché non si traduce mai in un rimborso ai contribuenti onesti.

 

Qual è la vera alternativa a questo continuo aggravio fiscale?

È possibile estendere l’area imponibile e il gettito attenuando l’iper-progressività dell’Irpef sulle persone fisiche. Con le aliquote attuali chi supera un reddito di 28mila euro lordi annui, cioè meno di 2mila euro netti al mese, passa dall’aliquota del 27% a quella del 38%. Ciò equivale a uccidere il ceto medio, e lo documenta il fatto che buona parte dei 152 miliardi di prelievo Irpef proviene appunto dalla middle class.

 

Con quali conseguenze?

È un delitto il cui effetto è deprimere i consumi interni. Per anni su questo la destra non ha mai mantenuto le sue promesse, ma la sinistra per prima dovrebbe rifletterci visto che l’iper-progressività è una sua bandiera storica. L’Irpef strutturata su cinque aliquote ottiene effetti totalmente contrari alla crescita e punisce la classe media che, insieme ai nove milioni di italiani poveri, sono le due vittime di questi anni.

 

(Pietro Vernizzi)