«Nell’intervista del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, a Il Sole 24 Ore non è citata una sola volta la parola disoccupazione. La linea della banca tedesca non cambia, eppure secondo l’economista Lawrence Summers le politiche europee di contenimento a oltranza dell’inflazione stanno conducendo a una sorta di stagnazione secolare». Lo afferma Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano. Nell’intervista Weidmann ha affermato che “l’evoluzione dei prezzi in alcuni Paesi dell’area euro è determinata dagli inevitabili processi di aggiustamento per riguadagnare competitività. Questo non deve essere confuso con la deflazione”.
Professor Campiglio, che cosa ne pensa dell’intervista di Jens Weidmann?
Quella rilasciata da Weidmann è un’intervista che rientra pienamente nella tradizione della Bundesbank, e che oggi se possibile continua in forme ancora rafforzate. La linea della Banca centrale tedesca non cambia e non ci sono per il momento segni del fatto che possa cambiare.
Su quali punti in particolare?
L’economia tedesca in questa fase è in piena espansione con un tasso di disoccupazione molto basso, e un tasso d’inflazione intorno all’1%. In buona sostanza nell’Eurozona non esiste un problema inflazionistico, ciononostante come affermato nell’intervista l’impegno della Bundesbank continua a essere il controllo dell’inflazione come è del resto previsto dal Trattato di Maastricht.
Perché la colpisce che Weidmann non parli di disoccupazione, dal momento che in Germania non esiste un problema di questo tipo?
Dal 2008 in poi le distanze tra i tassi di disoccupazione tra i Paesi dell’Eurozona sono progressivamente aumentate. Nell’area euro sul piano dell’occupazione, c’è molta più disuguaglianza oggi di quanta ce ne fosse cinque anni fa. Questo è un aspetto su cui la Bundesbank non ritiene di avere alcun impegno, ma che alla lunga potrebbe diventare un problema serio.
Perché?
La stessa politica monetaria deve tenere conto del fatto che con tassi nominali e un’inflazione così bassi, i tassi reali viaggiano all’interno del territorio negativo. Il tasso nominale a breve termine è allo 0,5%, l’inflazione è all’1%, e ciò produce come risultato un tasso reale del -0,5%.
Che cosa c’entra tutto ciò con la questione della disoccupazione?
Con i tassi reali e la stessa inflazione così bassi, le prospettive di rendimento e, implicitamente, di crescita dell’economia sono molto ridotti. Ciò è uno dei motivi per cui all’ultima riunione del Fmi di un paio di settimane fa l’economista Lawrence Summers ha fatto un ragionamento molto interessante e preoccupato sulla possibilità che questo quadro macroeconomico internazionale possa portare a una sorta di stagnazione secolare. Negli Stati Uniti è stata attuata un’imponente politica monetaria espansiva, e ciononostante faticano ancora a uscirne del tutto. In Europa la politica monetaria è stata molto più cauta. Poiché siamo in recessione da cinque anni, un periodo così prolungato potrebbe avere degli effetti permanenti e definitive sulle prospettive di crescita dell’intera area europea.
Secondo Francesco Forte, la Bundesbank avrebbe intenzione di acquistare quote di Bankitalia. Lei che cosa ne pensa?
Questa notizia si presta a due diverse interpretazioni. C’è un problema di assetto dell’azionariato interno, cioè di chi è proprietario di Bankitalia, e chi detiene le quote sono ovviamente le banche italiane. C’è una questione molto più sostanziosa, rispetto a cui c’erano stati degli interventi anche da parte di omano Prodi, e che riguarda la possibilità che le riserve auree della Banca d’Italia potessero essere in qualche modo mobilizzate per favorire una politica d’investimenti. Poi non se ne era saputo più nulla e la cosa non era andata avanti, e ora sembra riaffiorare.
(Pietro Vernizzi)