Solamente pochi giorni fa la Corte Costituzionale giudicava inammissibili i due ricorsi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato presentati dalla Procura di Taranto, uno nei confronti del Governo per il decreto salva-Ilva e l’altro nei confronti del Parlamento per la relativa legge di conversione. Poche ore dopo, ecco che il gip Patrizia Todisco stabilisce che l’acciaio sequestrato all’Ilva, da ormai troppo tempo fermo sulle banchine del porto, potrà finalmente essere commercializzato, una decisione con cui si intende evitare il deprezzamento di un milione e ottocentomila tonnellate di materiale prodotto dal siderurgico nel periodo in cui gli impianti erano sotto sequestro. Il ministro dell’Ambiente Clini, pur non volendo parlare di vincitori e vinti, appare evidentemente soddisfatto e auspica che i fondi ricavati possano adesso essere destinati al piano di risanamento. Al momento, però, sembra che il ricavato della vendita, affidata ai curatori giudiziari, confluirà su un conto deposito che resterà a disposizione della Procura. Abbiamo chiesto un commento a Paolo Leon, professore emerito di Economia Pubblica alla Facoltà di Economia dell’Università Roma Tre.



Le decisione del gip rappresenta comunque una svolta, non crede?

Il dissequestro è certamente importante ai fini di evitare il deterioramento del materiale sequestrato e di garantire la produttività anche degli altri stabilimenti Ilva, impedendo quindi che questi chiudano e mettano in cassa integrazione altre migliaia di lavoratori.



Cosa pensa dell’attuale destinazione dei ricavati delle vendite?

E’ prima di tutto importante che il ricavato non finisca nelle mani dei proprietari dell’azienda, quindi alla famiglia Riva, perché proprio con questi fondi sarà possibile avviare una concreta opera di bonifica. Se il materiale fosse stato venduto prima, invece, probabilmente il ricavato sarebbe finito alla famiglia e chissà con quali conseguenze.

Non crede che la decisione del gip sia arrivata troppo tardi?

Probabilmente sarebbe potuta arrivare anche prima, però abbiamo assistito a così tante vicende di natura giudiziaria, compreso il ricorso alla Corte costituzionale, che hanno reso praticamente impossibile ogni rapidità decisionale.



Quanto stabilito recentemente dal gip di Taranto è collegabile alla precedente decisione della Corte costituzionale?

Effettivamente è possibile che vi sia una connessione tra le due decisioni. Il fatto che la Corte abbia dichiarato inammissibile il ricorso della Procura non significa che abbia dato ragione al governo, sia chiaro, però senza dubbio dimostra che il decreto del ministro Clini è valido, almeno fino a prova contraria. Possiamo dire che il giudice ha preferito giustamente essere lui a vendere il materiale, piuttosto che farlo fare alla società, quindi agli azionisti.

La Procura ha dunque accusato il “colpo” arrivato dalla Consulta? 

Più che altro, dopo quanto stabilito dalla Corte, difficilmente si potevano immaginare altre soluzioni. Avendo posto sotto sequestro il materiale, infatti, la Procura è stata di fatto costretta a dover prendere un’altra strada, soprattutto dopo aver trovato sbarrata quella del ricorso. Certo, forse avrebbe anche potuto prevedere l’esito del ricorso, anche perchè, come è noto, la Consulta di oggi è molto diversa rispetto al passato.

Cosa intende?

Quella attuale è molto attenta alle conseguenze delle proprie decisioni, soprattutto perché sa bene che possono esserci dei costi, di natura giuridica, decisamente superiori a quelli dell’esecuzione letterale del diritto. In passato, invece la Consulta era ferma nel prendere le proprie decisioni sulla base di meri principi giuridici: oggi fa lo stesso, ma aggiunge anche il notevole peso delle conseguenze giuridiche.

Come giudica l’operato del governo fino a questo momento?

Ho sempre rimproverato al governo di non aver avuto abbastanza coraggio. Doveva fin da subito espropriare la famiglia Riva e occuparsi direttamente sia della produzione che della bonifica, ma questo non è avvenuto.

Come mai?

Il governo ha preferito incaricare della bonifica la stessa azienda con l’idea, alquanto astratta, che con i soldi della famiglia Riva sarebbe stato possibile pagare buona parte dell’operazione, invece che utilizzare risorse statali. A mio parere, quindi, da questo punto di vista è stato commesso un grosso errore.

La Procura come si è comportata invece?

Anche la Procura avrebbe dovuto avere un atteggiamento maggiormente strategico. Ha creduto fin dall’inizio che solamente perseguendo la forma del diritto avrebbe potuto avere inevitabilmente ragione, ma si è dimostrata a tratti troppo ostruttiva. Sono però dell’idea che la “durezza” dei magistrati sia da attribuire alla paura di venire considerati troppo “morbidi” a Taranto nei confronti dell’inquinatori, visto che in passato l’attenzione su questo tema in quell’area è stata evidentemente bassa.

Cosa accadrà adesso? Crede sia opportuno immaginare la nazionalizzazione dell’azienda?

Prima o poi dovrà essere inevitabile, anche perché la famiglia Riva di certo non sarà in grado di finanziare l’intera bonifica. Il nuovo governo, qualunque esso sia dopo le elezioni, dovrà necessariamente intervenire, anche temporaneamente, prima che sia troppo tardi. Come sappiamo, infatti, ci troviamo di fronte a un enorme potenziale problema sociale, oltre che industriale.

 

(Claudio Perlini)

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