Si può pensare alle monete come a dei qualsiasi prodotti che, se costano troppo, nessuno vuole. Un euro che continua ad apprezzarsi sulle altre valute e che siamo obbligati a mantenere a un tasso pressoché invariabile, quindi, rende sconveniente agli altri paesi acquistare merci in Europa. Il titolare delle Finanze francesi, Pierre Moscovici, ha tentato di sollevare la questione a Bruxelles dove, nel corso dell’Eurogruppo, ha chiesto di abbassare il cambio della divisa unica. Dopo che Wolfgang Schaeuble, il suo omologo tedesco, si è opposto, la conferenza de ministri dell’Economia dell’Eurozona non ha potuto fare altro che rinviare la decisione al G20 che si è appena aperto a Mosca. James Charles Livermore, operatore finanziario, ci spiega i pro e i contro di un euro debole.
Attualmente, il dibattito sembra essersi già arenato.
La svalutazione dell’euro è una tra le strategie di politica monetaria che la Bce ha a disposizione. Chiaramente può metterla in atto, pur nell’ambito della sua indipendenza e autonomia istituzionale, esclusivamente nel caso in cui anche le altre politiche europee siano coordinate.
Ovvero?
Mi riferisco alle politiche economiche e fiscali. Non tanto all’unificazione della discipline e delle politiche fiscali e bancarie – alle quali non è detto che mai arriveremo – quanto a un semplice accordo tra gli stati dell’Eurozona. Che, a oggi, attorno ai tavoli di Bruxelles, non esiste. E, prima che si riesca a siglare, potrebbero passare anche anni. Basti pensare che l’ultima versione del Fondo salva-Stati è stata approvata a più di quattro anni dall’entrata nella crisi.
In ogni caso, è auspicabile?
Ci sono Paesi del nord che hanno tutto il vantaggio a mantenere valute forti. Altri, specialmente quelli del sud, hanno puntato le proprie economie, per ragioni storiche, culturali e geografiche, su valute più deboli. Anche e soprattutto in ragione della loro propensione all’export. Un problema che la Germania non ha, dato che l’Europa resta il suo mercato principale.
Eppure, se i paesi che comprano della Germania si impoveriscono per il mancato deprezzamento dell’euro, si indebolisce contestualmente il mercato principale della Germania.
Da questo punto di vista, occorre, indubbiamente, trovare un equilibrio sostenibile per tutti i Paesi membri. In tal senso, tuttavia, non dobbiamo dimenticare che entrano in gioco alcuni fattori fondamentali.
Ovvero?
Anzitutto, come è noto, la Germania trema al solo pensiero dell’inflazione (anche se è vero che la fobia dell’inflazione ha prodotto più problemi del fenomeno stesso). A questo si aggiunge un fattore economico e strutturale: svalutare l’euro significa puntare su una crescita legata all’esportazione. In sostanza, l’Europa si aggancia a un’altra locomotiva. Ma dov’è questa locomotiva? Oggi, tutti i grandi blocchi economici, in un modo o nell’altro, stanno cercando di svalutare, per agganciarsi l’uno all’altro. Un gioco al ribasso che è stato dipinto come una vera e propria guerra monetaria. Nessun Paese vuole la leadership. E, piuttosto di sostenerne i costi e i sacrifici, preferisce agganciarsi a un altro sistema economico.
Che alternativa c’è alla svalutazione della moneta?
Nel breve termine, si possono adottare operazioni straordinarie, quali il Ltro varato dalla Bce. Sul medio-lungo termine, l’Ue ha il grosso problema di essere un ibrido, con politiche, sovranità e piani fiscali differenti. Un modo per crescere senza produrre le suddette dinamiche legate alla svalutazione, potrebbe consistere in una forte riduzione dell’imposizione fiscale. La storia insegna che in Europa, in contesti di diminuita tassazione sulle imprese, si sono verificate le condizioni affinchè si innescassero processi di creazione di valore aggiunto connesso a ricerca, sviluppo, innovazione e impiego di figure professionali ad alta qualificazione.
(Paolo Nessi)