Ultimamente, come nella sua tradizione, ilsussidiario.net ha pubblicato diversi articoli sulla spinosa vicenda Alitalia accogliendo diversi pareri su quella che, più che “Imu dei cieli” (azzeccatissima definizione di Andrea Boitani, applicabile anche ad altre realtà, vedi la recente vicenda Mps), pare diventata una “telenovela” che, nel suo sviluppo, rappresenta fedelmente l’italico e gattopardesco pensiero del “mutare tutto per non cambiare nulla”. In altri Stati casi simili a quello dell’ex compagnia di bandiera sono stati risolti nel giro di un paio d’anni con un rilancio sostanziale del vettore (ultimo quello della giapponese Jal, passata da un buco peggiore di quello dell’ex Alitalia a produrre i profitti più alti della sua storia), mentre qui è stato compiuto, in effetti, un miracolo: ereditare solo la parte profittevole di una compagnia aerea e trasformarla, nonostante immensi aiuti elargiti dallo Stato attraverso vantaggi concessi ad hoc sia nel campo logistico che in quello finanziario, e riuscire a produrre perdite simili a quelle dell’ex entità statale.
In questa situazione ci si è spesso dimenticati, forse per il battage mediatico che li definiva “privilegiati”, degli ex lavoratori di Alitalia, che nell’arco di questi anni hanno organizzato diverse iniziative per rendere visibile agli occhi di un mondo mediatico spesso cieco non solo la propria situazione, alquanto differente dall’immagine creata, ma anche l’involuzione di una problematica che rischia di privare il nostro Paese di una compagnia aerea di riferimento. Abbiamo intervistato Roberto Valenti, un ex assistente di volo già promotore di diverse iniziative dal 2008.
Nell’agosto del 2008 lei era uno dei referenti “mediatici” della protesta dei lavoratori Alitalia contro l’operazione di privatizzazione Cai. Non si può dire che sia stata un successo, anzi, ma allora sembrava che per i circa 10.000 lavoratori espulsi da Alitalia fosse prevista una cigs considerata da molti “privilegiata”. È così?
Non so se è così. Noi avemmo quattro anni di cigs più tre di mobilità. Circa 3.000 persone di questi sette anni, come il sottoscritto, non ci farà molto, poiché al termine dell’ammortizzazione sociale si ritroveranno senza lavoro e senza pensione, non avendo maturato i diritti pensionistici ed essendo in quella fascia di età che tra i 45 e i 55 anni non permette alcuna competitività. Inoltre, il problema vero è che tutti noi infilati d’ufficio nella bad company è come se fossimo stati licenziati in maniera differita, per cui l’Inps e qualsiasi percorso di ricollocazione e di formazione ci hanno sempre negato anche i corsi più banali per rientrare nel mondo del lavoro, impedendoci di fare alcunché e considerandoci privilegiati, quando invece tutti noi avremmo solo voluto continuare a lavorare o trovare un altro impiego.
Recentemente c’è stato il caso dell’incidente dell’aereo di Carpatair: siamo alla vigilia delle elezioni e la questione del vettore rumeno esiste da due anni… Senza fare l’avvocato del diavolo, non le sembra una curiosa coincidenza?
Vede, i nodi vengono sempre al pettine. La mattanza Alitalia, con la quale si sono salvati gli interessi di Banca Intesa nell’allora fallimentare impresa AirOne, è stata giustificata con la bandiera dell’italianità. Berlusconi ci ha fondato una campagna elettorale e altri si sono accodati. In condizioni di monopolio e di scorporo di tutti i debiti, i capitani coraggiosi hanno saputo produrre solo altre perdite, non essendo in grado di gestire una società di trasporto aereo e non avendo nemmeno interesse a farlo, visto che il cadeau fatto riguardava interessi deposti altrove. Ora, sempre in nome dell’italianità, un manipolo di dirigenti intoccabili arriva al punto di sostituire il lavoro italiano con la forza lavoro rumena sul nostro territorio, evidente scatto in avanti della competizione scorretta. Nel silenzio generale e, soprattutto, nell’ottusa noncuranza degli enti di controllo e di parte del sindacato. Altre cinquantamila giornate di cassa integrazione e gente fuori in mobilità pagata dallo Stato per favorire i guadagni di una compagnia privata che nemmeno sa sfruttarli: a me sembra una bestemmia, un vero attacco non solo ai diritti dei lavoratori, quanto al buon senso degli italiani tutti.
Gli accordi firmati a Palazzo Chigi sono stati abbondantemente disattesi, secondo voi: ci vuole spiegare in che cosa?
Il “Lodo Letta” prevedeva la richiamata dal bacino dei cigs per qualsiasi operazione di allargamento del network. Cai ha invece continuato ad assumere precari dall’esterno, senza stabilizzarli nemmeno, facendo addirittura bandi di concorso esterni. Non solo, in assenza di qualsiasi controllo Cai ha iniziato a esternalizzare anche le attività di volo front line, ben 210mila ore fino ad aprile 2014, creando così altra disoccupazione interna e facendo finta di non vedere che all’esterno c’è gente qualificata con brevetti e professionalità disponibile e nel diritto di essere richiamata. Da ultimo, ma di estrema importanza, Cai non ha mai rispettato nemmeno gli accordi di recupero del personale frutto di ulteriori elargizioni di solidarietà espansive che i nostri colleghi solidali avevano acceso con l’azienda per favorire il nostro rientro. Insomma, una vera terra di nessuno, dove i vari ad succedutisi hanno sempre mantenuto un’unica condotta: quella della completa abiura del concetto di etica sociale che pure un’azienda di 15.000 dipendenti dovrebbe avere.
Nel 2008 parlavate di rinazionalizzazione di Alitalia come unica soluzione…. mi pare che a livello gestionale sia lo Stato che i privati non si siano dimostrati molto virtuosi in materia, pesando entrambi sulle tasche degli italiani. Molti lavoratori ripropongono la stessa medicina di 5 anni fa: veti Ue a parte, non le pare, vista l’esperienza, una soluzione assolutamente improponibile attualmente?
Quasi tutti i paesi del mondo, Europa compresa, hanno una compagnia di bandiera sotto il controllo statale. Affermare che lo Stato debba controllare la compagnia di bandiera, se permettete, è un elemento di civiltà. Perché? Perché l’obbligo di porre termine al selvaggio comportamento anarchico e autolesionistico delle tante società che operano in un settore strategico come quello del trasporto aereo non è più rinviabile. L’Italia deve dotarsi di un piano industriale del trasporto aereo che stabilisca quali e quanti siano gli aeroporti, quali e quante siano le compagnie ammesse, quali e quanti siano i tipi di contratto collettivo inseriti nel circuito occupazionale. Assistere inermi ad aziende che assumono con contratti di un giorno in settori delicati dove occorre professionalità ed esperienza è un insulto alla ragione. Chiedere che sia lo Stato a controllare Alitalia dotandola di un network idoneo a un Paese civile e industrializzato, a noi pare che sia l’elemento minimo dal quale ripartire. Altrimenti vige e vigerà solo la regola del più furbo, quella che consente oggi a Ryanair di fare in Italia ciò che in Francia e in altri paesi d’Europa non è consentito. Quanto all’Ue basterebbe ricordare il comportamento tenuto dalle istituzioni europee nell’episodio della rinazionalizzazione della compagnia Air France, e forse tutti la smetterebbero di ventilare fantasmi che non esistono.
Tra gli attuali dipendenti Cai mi pare che non si esternalizzi una grande solidarietà con la vostra causa. Eppure anche chi lavora in forze alla “nuova Alitalia” non può certo dormire sonni tranquilli…
In parte è vero, ma ciò è frutto di un individualismo distribuito a larghe mani da politici demagoghi e soprattutto campanilisti e settari: basti pensare al caso Lega, che addirittura portò al tracollo la compagnia pur di vedere aprire un hub in Lombardia che non aveva senso di esistere. Tuttavia non è così: come le ho detto in precedenza, molti dipendenti hanno accettato la solidarietà espansiva pur di favorire il rientro di noi cassintegrati. In questo caso, però, la responsabilità non è di chi lavora, quanto di chi rappresenta i lavoratori e di chi dovrebbe controllare le aziende. Ecco, forse il vero tarlo del meccanismo oggi risiede proprio in questo. Si parla tanto, ci si lamenta della mancata ripresa produttiva, poi però ci si adagia nel favorire politiche commerciali e occupazionali che spingono ulteriormente il Paese all’impoverimento. Oggi a noi, domani a voi, urlavamo durante la protesta: se gli italiani avessero un minimo di memoria saprebbero che avevamo ragione, e dunque sono fiducioso che i tanti colleghi di lavoro che oggi affrontano l’ennesima crisi Alitalia avranno gli strumenti giusti per capire che senza solidarietà la storia sarà breve anche per loro.