Le elezioni sono ormai alle porte e il risultato appare quanto mai in bilico. Difficile dire chi uscirà vincitore dalle urne e con quale vantaggio rispetto agli avversari, specialmente al Senato. Il terrore è che ci sia instabilità, con nefaste conseguenze sullo spread e con la conseguente necessità, magari, di varare una manovra finanziaria già in primavera per far fronte all’aumento dei rendimenti dei titoli di stato. Mediobanca, in un report diffuso ieri, prevede un esecutivo sostenuto dalla “strana maggioranza” Bersani-Monti, che non arriverà a fine legislatura, ma traghetterà il Paese verso nuove elezioni nel medio termine.



«I mercati internazionali chiedono due impegni sostanziali all’Italia: il pareggio di bilancio nel 2013 e la garanzia che le riforme attuate da Monti non siano smontate. Qualsiasi governo che mantenga questi due punti fermi sarà accolto positivamente dalle Borse, a prescindere dal fatto che declini i suoi temi un po’ più a destra o un po’ più a sinistra». Ad affermarlo è Mario Deaglio, professore di Economia internazionale all’Università di Torino, secondo cui «persino un governo del Pdl potrebbe andare bene, a condizione che Berlusconi si ritirasse dalla scena politica».



Quali sarebbero gli effetti di una eventuale ingovernabilità successiva alle elezioni del 24 e 25 febbraio?

Indubbiamente l’ingovernabilità avrebbe effetti negativi, ma vorrei evitare i facili allarmismi. Se anche non avremo una maggioranza chiara, e sarà necessario trovare un’intesa di coalizione, non credo che il mattino del 26 febbraio lo spread si impennerà. I mercati staranno a guardare, ci daranno due settimane di tempo, e si adegueranno lentamente alle trattative post-elezioni.

Come sarebbe accolta dai mercati un’alleanza Bersani-Monti?

Per i mercati va sostanzialmente bene tutto, purché non ci sia Berlusconi. Al limite persino un Pdl senza Berlusconi sarebbe accolto in modo abbastanza positivo. Un Monti in posizione di superministro dell’Economia o di presidente del Consiglio andrebbe ancora meglio. La verità è che lo spread dell’Italia nella fase attuale dipenderà molto dalla situazione internazionale successiva al G20.



Quanto inciderà il fatto che con Bersani ci sia anche Vendola?

In via teorica per i mercati è del tutto indifferente. Ciò che conta è che ci sia un governo che disponga di una maggioranza parlamentare, che non contenga Berlusconi e che abbia un programma che sia compatibile con quanto le Borse mondiali ritengono utile. Tutto il resto è un problema soltanto degli italiani: non credo che i mercati si faranno influenzare dal fatto che ci siano riforme un po’ più a sinistra.

Ipotizziamo invece che il nuovo governo riesca a fare solo alcune riforme prima di tornare al voto. Andrebbero privilegiati i conti pubblici o riforme istituzionali, come una nuova legge elettorale capace di dare più stabilità nelle successive votazioni?

I mercati darebbero sicuramente la precedenza ai conti pubblici. Le leggi elettorali dei singoli paesi sono questioni tecniche abbastanza complicate, che le Borse in via normale non prendono in considerazione. A loro interessa il risultato prodotto della macchina elettorale, non la forma. I mercati non vanno scambiati per un governo-ombra, sono composti da persone che osservano l’Italia dall’esterno.

 

Per tranquillizzare questi osservatori, quale risultato elettorale sarebbe il migliore?

I mercati vogliono sentirsi dire che l’Italia rispetterà gli impegni presi. Ciò che conta è che questo sia affermato in modo autorevole, cioè con il sostegno di una sufficiente maggioranza parlamentare.

 

A quali impegni si riferisce?

A quelli che sono stati assunti già dal governo Berlusconi nell’agosto 2011, e che sono stati ribaditi, chiariti e approfonditi dal governo Monti dal novembre successivo. Le uniche vere priorità per i mercati sono il pareggio di bilancio nel 2013 al netto degli effetti congiunturali e la garanzia che le riforme del governo Monti non siano smontate.

 

Bersani, in caso di vittoria, riuscirà a mantenere gli impegni dell’Italia e nello stesso tempo ad accontentare la parte più estrema della sua coalizione?

Sì, perché gli strumenti per mantenere gli impegni ci sono. E’ già stato tutto messo in sicurezza, per venire meno alle promesse bisogna smontare qualcosa e non vedo perché Bersani dovrebbe cancellare la riforma delle pensioni o altro solo per fare un dispetto ai mercati.

 

La Cgil, come parte della sinistra estrema, chiede appunto di annullare la riforma delle pensioni…

La Cgil non è Bersani. Non c’è quindi in alcun modo un’immediata rispondenza tra il sindacato e il Partito democratico. E’ una visione veterocomunista, che fa riferimento a una “cinghia di trasmissione” che oggi non esiste più. Ricordiamoci che anche la Cisl può fare riferimento al Pd, che comprende una percentuale di sostenitori e rappresentanti che in passato non sono mai stati legati al Pci. Cisl e Uil sono a favore della riforma delle pensioni introdotta dal governo Monti. E se anche dovesse prevalere la linea più a sinistra all’interno del Pd, quella di Cesare Damiano, la riforma delle pensioni non sarà abolita ma si provvederà a una sistemazione ulteriore degli esodati.

 

(Pietro Vernizzi)