Un giorno si dice che Angela Merkel non vuole Pier Luigi Bersani al governo. Un altro che la Merkel benedice l’alleanza Monti-Bersani. Un altro ancora che ai tedeschi piace una grande coalizione, purché non ci sia Silvio Berlusconi. E poi c’è Barack Obama che incontra Giorgio Napolitano e anche da qui spirano venti montiani. Ci sono i commentatori del Financial Times (come Wolfgang Münchau) al quale Monti sembra “unfit”, inadatto a governare ancora. Infine, arrivano i re di denari. Ma quanti votano domenica e lunedì, quanti a parte gli elettori italiani? C’è un gran via vai di scout, analisti, emissari di banchieri d’affari in questa Italia che si prepara al voto. Sarà stata una brutta campagna elettorale, la più brutta, secondo alcuni, certo non è la più inutile, né la meno importante. Al contrario. La posta in gioco è chiara, forse più a sguardi esterni variamente interessati che ai protagonisti di una propaganda avvelenata.



L’Italia, terza economia dell’Eurolandia e secondo Paese manifatturiero dell’Unione si riprende, mette a posto i conti pubblici e torna a crescere, svolgendo così il proprio ruolo nel sistema della moneta unica. Oppure gli italiani scelgono la protesta, anzi la rivolta contro la disciplina imposta dall’esterno (l’euro) e dall’interno (un sistema anchilosato, improduttivo e costoso che alimenta un’inflazione più alta della media e falcidia i redditi sotto la media). In questo caso, non c’è altra strada che ritirarsi dal gioco facendo saltare il tavolo. È comprensibile, dunque, la passione e l’apprensione dei mercati (o meglio dei loro agenti): sono in ballo ingenti risparmi da ogni parte del mondo.



Sarà per questo che sono davvero in tanti a influenzare gli elettori. Come votano gli uomini che muovono miliardi di dollari alla velocità della luce? Non tutti allo stesso modo. Sono guidati da interessi e da passioni. Sono influenzati da preferenze culturali e politiche. E anche dal mood dei propri governi. Chi punta a far soldi sullo spread (e si fanno non solo quando sale, ma anche quando scende) guarda soprattutto alla dinamica del debito. Dunque, preferisce la continuità, cioè una politica di rigore, magari stemperata per non provocare troppe tensioni sociali. Chi, come Blackrock, il fondo più grande del mondo, non specula day by day, ma compra pacchetti azionari per tenerli in portafoglio, vuole vedere le imprese crescere e far profitti, quindi il primo obiettivo è favorire un governo che, senza scassare il bilancio dello stato, sposti la priorità verso la crescita e la competitività.



Pre-requisito per entrambi è la governabilità. Un aspetto emerso in modo netto e anche eterodosso nell’analisi dell’ufficio studi Mediobanca. I nipotini di Enrico Cuccia preferiscono che si torni a votare se non emerge una maggioranza chiara, e danno ragione in questo a Roberto Maroni che lo va dicendo chiaramente da tempo. E una grande coalizione, cioè una alleanza tra Pd, Pdl e Monti con l’obiettivo di cambiare la legge elettorale e completare le riforme? L’impressione è che possa essere una soluzione più gradita agli americani, mentre i tedeschi vogliono che al comando resti Monti e Berlusconi vada in pensione. I francesi (anche il milieu degli affari) scommettono sulla vittoria di Bersani con la chance di creare un nuovo asse socialdemocratico (Ps-Pd-Spd) che sposti il centro di gravità della politica economica europea. Tutt’altro che facile, perché interessi nazionali e di partito non coincidono.

Secondo Mediobanca, sarebbe meglio per tutti se l’Italia facesse ricorso all’aiuto della Bce, ipotecando la politica fiscale del prossimo governo e spegnendo una volta per sempre la miccia dello spread. Un ragionamento sensato, ma politicamente troppo sensibile e alla fine controproducente. Non c’è dubbio infatti che analisi di per sé tecniche diventano immediati messaggi politici, vere e proprie intrusioni nel dibattito elettorale, nuovi segnali di sovranità perduta. Non è del tutto vero, però oggi conta ciò che appare.

Crescita, governabilità, riforme senza scassare i conti, è questa la formula preferita dai mercati. L’ufficio studi del Fondo monetario internazionale, montiano d.o.c., ben oltre altri pensatoi economici, spinge per portare avanti le liberalizzazioni che possono aumentare la crescita anche del 7% nei prossimi anni. Molto più efficace, sottolinea, rispetto alla riforma del mercato del lavoro che aggiunge un punto percentuale. La ricetta, dunque, è bell’e pronta, manca lo chef ai fornelli. Ecco perché, bon gré mal gré, i mercati, scommettono sull’usato sicuro.

Ma c’è chi gioca allo sfascio? Il passato anche recente ci dimostra che di sfascisti ce ne sono eccome. Non solo George Soros nel 1992, ma Goldman Sachs nel 2008 e nel 2011 Deutsche Bank che vendeva titoli italiani e giocava al ribasso con i derivati. Anche oggi tutti costoro sono in agguato. Per il momento aspettano, poi lunedì pomeriggio, se Beppe Grillo sarà davvero il secondo partito, c’è da scommettere che si metteranno di nuovo a ballare. E Federico Ghizzoni capo di Unicredit avverte: anche così com’è lo spread sarà alla lunga insostenibile. Meditate gente, meditate.