Che significato dare alla brusca caduta delle Borse di ieri? Potrebbe essere l’anticamera di un’inversione di tendenza, dopo la risalita dei mercati finanziari di questi mesi. Oppure solo una correzione di rotta temporanea, in attesa che finalmente si consolidi la ripresa dell’economia reale in Usa. Per i più pessimisti, la situazione è ad alto rischio: un incidente di percorso, vedi un esito incerto delle elezioni italiane, può scatenare una nuova stagione di alta volatilità sui mercati foriera di conflitti sociali e politici: un’impennata dello spread, combinata con la recessione che prende velocità, potrebbe render necessarie nuove manovre da applicare a Italia e Spagna, paesi già stressati se non esausti. Ma come reagiranno gli italiani, dopo una campagna elettorale giocata sulle promesse fiscali, di fronte alla prospettiva di nuova austerità?



Il rischio è che la navicella dell’euro torni in acque agitate, anzi tempestose. Anche perché, come ha scritto sul Financial Times Martin Wolf, “l’unione monetaria è come un matrimonio. Un’unione è felice quando, dopo qualche anno, marito e moglie possono rispondere in modo affermativo alla domanda: vi sposereste ancora? Ma non credo che sia questa l’opinione degli europei di fronte all’euro”. Forse Wolf esagera. O forse no: come spesso capita nei matrimoni, la ragione principale per non separarsi, nel caso dell’euro, è la paura dei costi eccessivi di un divorzio. Le tensioni dei mercati, esplose dopo la pubblicazione dei verbali della Fed, altro non sono che la punta dell’iceberg di una situazione di crisi che si va approfondendo.



Per gli ottimisti, al contrario, non va esagerato né il segnale borsistico, né la presunta guerra tra le valute o tanto meno il peso del voto di domenica: salvo esiti estremi, in Italia nascerà comunque un governo di coalizione (più facile di centrosinistra) o un’alleanza più ampia che non potrà ridiscutere dalle fondamenta gli accordi già presi: la fragilità congenita del Bel Paese impedisce mosse di politica economica alternative al resto d’Europa.

In questa prospettiva le elezioni che contano per davvero sono quelle tedesche del prossimo ottobre. Non è ancora chiaro, per il momento, se la grande favorita, la signora Merkel, vorrà usare la sua forza per accelerare l’integrazione europea o, al contrario, per tornare a premere sugli altri paesi dell’Eurozona perché riprendano la pratica ascetica dell’austerità e tornino ad avvicinarsi a quel pareggio di bilancio dal quale di fatto stanno, da qualche mese, di nuovo allontanandosi. Di sicuro non è suo interesse, a sei mesi dal voto, inasprire le relazioni con il governo italiano, qualunque esso sia.



Non è il caso di prevedere (o temere) uno scontro frontale nei prossimi mesi. Dopo, molto dipenderà dalla congiuntura internazionale, ma anche dalla capacità italiana di prepararsi al nuovo scenario: nel caso il nuovo governo, di qualunque colore sia, sarà in grado di dare il via a riforme che possano aumentare la competitività delle imprese (peggiorata negli ultimi mesi, a differenza di quanto accade nel resto del sud Europa), il futuro potrebbe essere migliore di quanto non si tema.

Tra pochi giorni si capirà chi dei due avrà avuto ragione. Per ora, a far prevedere un futuro non drammatico per i mercati finanziari è una motivazione di per sé drammatica: la persistente debolezza della crescita stessa, un po’ ovunque. La ripresa non prende quota in Usa dove gli indicatori dei consumi (vedi le vendite di Wal-Mart o l’andamento delle ultime meraviglie di Apple) segnalano calma piatta. Ristagna la stessa Cina: a Capodanno le giocate ai casinò di Macau sono rimaste assai sotto le previsioni. Intanto Wen Jiabao, alla vigilia dell’uscita dai vertici, ha annunciato un giro di vite ai mutui immobiliari che ha fatto scendere la Borsa del 3%. In questa cornice le banche centrali non possono che sostenere l’economia con abbondanti dosi di denaro per giunta a basso costo, nella speranza che prima o poi il cavallo torni a bere. La Borsa, insomma, non può permettersi il lusso di cadere, almeno finché non si vedranno segnali solidi di ripresa.

Nel frattempo Mario Draghi ha altri problemi da affrontare. Primo fra tutti far sì che il denaro non si fermi in banca o, nel migliore dei casi, nelle tesorerie dei gruppi più importanti, anche italiani, in grado di raccogliere capitali sui mercati internazionali. Il vero nodo dolente è far arrivare i fondi al tessile biellese o all’elettromedicale di Carpi. Alla Bce si lavora per mettere a punto strumenti adeguati vuoi per sottoscrivere obbligazioni di pool di piccole imprese ovvero per prestare soldi alle banche perché prestino loro il denaro con la garanzia della Bce. Potrebbe essere questa la vera svolta per migliaia di Pmi. Ma prima di muoversi Draghi (con il probabile assenso della Merkel) vuol capire quale Italia uscirà fuori dalle urne.